L'ANALISI
01 Luglio 2025 - 05:25
CREMONA - «È terminata il 27 giugno la mobilitazione a Bruxelles per chiedere che venga posto fine al genocidio e fatti passare gli aiuti umanitari». La Global march to Gaza, la mobilitazione internazionale che ha tentato di rompere l’assedio sulla Striscia per permettere l’ingresso degli aiuti umanitari era stata fermata dal governo egiziano. I volontari di tutto il mondo sono rientrati nei paesi d’origine per fare pressione sulle istituzioni locali. In Europa il movimento ha indetto una settimana di mobilitazione a Bruxelles, cuore delle istituzioni comunitarie, dove il 26 e il 27 giugno si è svolto il Consiglio europeo.
Con lo sviluppo della mobilitazione è continuato anche l’impegno della cremonese Tina Maffezzoni, ginecologa e attivista di ‘Donne senza frontiere’ con una lunga storia di volontariato in giro per il mondo. La scorsa settimana ha partecipato alle manifestazioni in Belgio: «Un altro momento di incontro internazionale tra attivisti uniti intorno a una causa, a dei valori di umanità e solidarietà che i governi devono ascoltare, ponendo fine alla propria complicità con la guerra di sterminio in corso in Palestina».
Oltre a sit-in e presidi gli attivisti hanno inviato una lettera ai capi di governo e ai vertici dell’Ue. Nel testo i partecipanti alla Global March chiedono se «la carta dei diritti umani dell’Onu, costruita sulla cooperazione dei Paesi e sul rifiuto di ripetere olocausti e genocidi, valga solo per gli europei o anche per gli altri popoli. Di fronte al terrore, ai massacri, alle carestia provocati i governi cosa fanno, rimangono solo a guardare? Un intero popolo può cessare di esistere, la sua cultura e la sua musica, la sua arte, le sue storie possono scomparire insieme agli edifici, ai corpi, alle famiglie, ai bambini?».
Proprio nel Consiglio europeo di giovedì e venerdì uno dei punti caldi è stato, anche grazie alla pressione dei manifestanti a Bruxelles, la richiesta di cessate il fuoco immediato su Gaza e l’apertura dei canali umanitari. Nel concreto il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha incaricato l’alto rappresentante per gli affari esteri Kaja Kallas di «proporre possibili misure» per rispondere alle «sistematiche violazioni dei diritti umani commesse da Israele».
Un blocco composto da 17 Paesi ha chiesto la revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, con Spagna, Irlanda e Paesi Bassi che spingono per la sospensione; altri invece, tra cui Germania e Italia, si oppongono. L’articolo due del trattato di cooperazione sancisce che «il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici costituisce un elemento essenziale dell’accordo». Una condizione «palesemente violata» che, per i manifestanti e decine di organizzazioni internazionali, rende Israele gravemente inadempiente, per la quale l’accordo andrebbe – almeno parzialmente – sospeso».
La lettera si chiude con l’accusa ai governi europei di «non rappresentare più i propri popoli». In questo senso viene citato «l’aumento delle spese militari fino al 5% del Pil sancito dal vertice Nato» con voto quasi unanime. Una misura che, scrivono i manifestanti, «peggiorerà pesantemente le condizioni di vita dei cittadini dei 27 paesi europei». Smontate le tende a Bruxelles il movimento continuerà la propria mobilitazione altrove, «così come il dialogo con le istituzioni europee, in attesa del prossimo Consiglio in cui verranno discussa la revisione degli accordi».
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