L'ANALISI
26 Giugno 2025 - 05:25
CREMA - Laurea in medicina all’Università degli studi di Milano e specializzazione in chirurgia vascolare, Luca Boccalon, dal 2016, è in servizio all’ospedale Maggiore di Crema. E dal 2021 è direttore del dipartimento cardio-cerebro-vascolare dell’Asst e responsabile della chirurgia vascolare.
L’aneurisma addominale dell’aorta è una patologia severa, che ha un’incidenza compresa tra il 2 e il 10% della popolazione maschile sopra i 65 anni di età, in cosa consiste?
«L’aorta addominale è quella grossa arteria, che percorre tutto l’addome e porta il sangue verso le gambe. Si può ammalare in vari modi: di arteriosclerosi, quindi si restringe, impedendo che il sangue raggiunga gli arti inferiori. Ma si può anche ammalare perché si dilata, portando a un progressivo sfiancamento della parete arteriosa, con un aumento del diametro che, in condizioni normali, è di circa due centimetri. La dilatazione può essere tale da richiede un trattamento, perché si rischia una rottura dell’aorta. Il problema è che, purtroppo, si tratta di una patologia molto subdola: non dà dolore, se non quando la dilatazione raggiunge delle dimensioni consistenti. La norma è che, durante una ecografia dell’addome, eseguita per altre cause, si scopra questa patologia».
Vi sono comunque dei campanelli d’allarme, che devono indurre a un approfondimento diagnostico?
«Di campanelli d’allarme, purtroppo, non ve ne sono, se non la familiarità. La grande maggioranza dei parenti di portatori di aneurisma ha, infatti, la possibilità di sviluppare questo specifico tipo di patologia».
Il trattamento medico esiste, o l’opzione chirurgica è la sola adottabile?
«Il trattamento medico, di per sé, porta a un rallentamento della dilatazione dell’aorta, ma purtroppo non conosciamo la vera motivazione per cui un’aorta cominci a dilatarsi. Certo, ci sono moltissime ipotesi. Ma è la familiarità che, più di tutte, può dare informazioni su questo tipo di problema».
Recentemente, l’ospedale Maggiore si è dotato di una nuova tecnologia che innalza gli standard della cura, di cosa si tratta?
«Il trattamento dell’aneurisma dell’aorta addominale, che viene eseguito nel momento in cui i diametri raggiungono i cinque centimetri e mezzo, va ricordato che partiamo da due centimetri di aorta normale, è rivolto a scongiurare il rischio di rottura. Il trattamento può avvenire in due modi: il classico, con l’apertura dell’addome e la sostituzione della aorta ammalata; oppure inserendo, per via mini-invasiva, endoprotesi aortiche. Queste endoprotesi risalgono all’interno dell’aorta e si fissano sopra e sotto l’aneurisma, escludendolo dal circolo. Questo tipo di intervento mini-invasivo viene eseguito con una tecnologia che ci permette di vedere alla perfezione ciò che stiamo facendo. Ed è una miglioria che è stata apportata con le nuova apparecchiature, che sono state acquistate qui da noi».
Da quanto tempo viene impiegata la tecnica in questione al Maggiore?
«È da tempo che la stiamo utilizzando. La nuova tecnologia ha dato la possibilità di eseguire interventi più complessi, per aneurismi che interessano anche le arterie che portano il sangue ai visceri: come le arterie renali, le arterie che portano sangue all’intestino. Normalmente, necessitano di un trattamento con protesi dedicate, più difficili da gestire. Perché devono essere applicate con una tecnologia, che permetta di poter gestire l’esatto posizionamento della protesi all’interno di arterie di piccolo calibro. La mini-invasività è qualcosa che deve andare di pari passo con la durata del trattamento, quindi la possibilità di avere un trattamento duraturo nel tempo».
Al di là della familiarità, esistono dei fattori di rischio specifici?
«Per l’aneurisma addominale dell’aorta, assolutamente sì. In particolare il fumo di sigaretta e la patologia ipertensiva favoriscono l’indebolimento della parete arteriosa, oltre alla sua incrostazione da parte di placche. Tutti questi fattori di rischio, associati comunque alla familiarità, sono da tenere sotto controllo per evitare questo tipo di problematica».
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