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PILLOLE DI SALUTE

Calcoli alla colecisti: «I sintomi ingannano»

Il primario della Chirurgia generale del Maggiore, Monti: «Anche disturbi simili a una gastrite da stress»

Cristiano Mariani

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cmariani@laprovinciacr.it

29 Maggio 2025 - 05:25

CREMA - Marco Monti, laurea in medicina conseguita all’Università degli studi di Milano e specializzazione in chirurgia d’urgenza, nello stesso ateneo, dal 2004 lavora al Maggiore di Crema, dopo aver maturato esperienze in un ampio ventaglio di strutture specialistiche lombarde. Dal 2015 è direttore della Chirurgia generale e d’urgenza dell’Azienda sociosanitaria.

La calcolosi della colecisti, quindi l’accumulo di sali che porta progressivamente alla formazione di calcoli, è una patologia della quale soffre all’incirca il 10-15% della popolazione adulta. Quali ne sono le cause?
«Effettivamente, è una patologia abbastanza frequente e in quasi tutti i Paesi del mondo ha questa percentuale di incidenza. Ma le cause non sono ben identificate. Ci sono sali di calcio, che si agglomerano e formano il calcolo, ma la vera causa della precipitazione dei sali non è ancora chiara. Sappiamo, però, che la possibilità che si formino è presente in questa percentuale, che consideriamo significativa. Riteniamo che vi siano sia origini genetiche, sia cause ambientali, di igiene alimentari. Ma si tratta solo di ipotesi, che sono state formulate nel corso degli anni. Gli autori anglosassoni, tempo fa, avevano indicato la cosiddetta legge delle 4 ‘f’. Fatty, quindi paziente obeso; female, paziente di sesso femminile in cui è più frequente; forty, soggetto intorno ai quarant’anni. E paziente ancora in età fertile, quindi fertility. Ma si tratta unicamente di tentativi di dare un’origine chiara a questo tipo di patologia».

Quali sono i campanelli d’allarme che devono indurre a un approfondimento diagnostico?
«La sintomatologia a volte è molto è poco specifica. Ci sono infatti molti sintomi che possono essere correlati anche ad altre tipologie di malattia. Pensiamo in particolare a una cattiva digestione, al mal di testa postprandiale, al gonfiore, sempre postprandiale. E a un peso epigastrico, ossia a livello dello stomaco. Una digestione molto lenta, quindi. Ci viene comunemente detto: ‘Dottore, se mangio un cibo molto grasso a pranzo, per tutto il pomeriggio ho questo tipo di disturbi, continuo a digerire’. Sintomi molto ampi, quindi, che non danno subito l’idea della presenza dei calcoli. Tanto che, molto spesso, vengono addebitati a una gastrite cronica, correlata soprattutto alla vita stressante che i pazienti conducono, magari per via dell’attività lavorativa, per questioni di famiglia e tanti altri problemi, che possono dare simili problemi alla digestione. Ma è chiaro che, con il trascorrere del tempo, si eseguono esami mirati: dai più semplici di laboratorio, sino alle ecografie. E allora, in questo modo, possiamo evidenziare l’effettiva presenza dei calcoli alla colecisti».

Una patologia diffusa, quindi, ma che può portare anche a delle complicanze di una certa rilevanza?
«Indubbiamente. La complicanza più semplice è la colica biliare, che è il dolore epigastrico associato a vomito ripetuto. Ma è una sintomatologia tipica di una complicanza che si risolve, a volte, anche spontaneamente. Il paziente è a domicilio, ha questa sensazione di nausea, vomita, accusa dolore, ma è un problema che si può risolvere anche nell’arco di due o tre ore. Ci sono però complicanze più importanti, come ad esempio la colecistite, quindi l’empiema della colecisti. Fino poi a situazioni più temibili, la più grave delle quali è rappresentata dalla pancreatite acuta».

L’intervento chirurgico, allo stato attuale, è l’unico strumento a disposizione per trattare una patologia di questa natura?
«La terapia chirurgica rimane quella d’elezione, per la patologia della colecisti sintomatica. In passato, certo, sono stati fatti tentativi con le cosiddette onde d’urto, come per esempio per la calcolosi renale, associate magari a dei farmaci che inducevano lo scioglimento del calcolo o la riduzione delle dimensioni; oppure la fluidificazione della bile. Però si è constatato, con il passare del tempo e quindi con l’esperienza acquisita, che comunque l’intervento chirurgico restava ed è attualmente il trattamento risolutivo».

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