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CREMONA

Giovanni Impastato: «L'eredità di Peppino? Il messaggio educativo»

Ospite nell’aula magna del Torriani, ha ricordato il fratello: «Era una persona con una profonda carica umana e con un grande rispetto per gli altri»

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

15 Febbraio 2022 - 17:09

CREMONA - «Peppino era una persona con una profonda carica umana e con un grande rispetto per gli altri. È questo il ricordo, è questa l’eredità che mi porto dietro, oltre all’impegno di mio fratello nella lotta contro le ingiustizie e contro la mafia», così Giovanni Impastato, oggi ospite nell’aula magna del Torriani, ha ricordato il fratello.

L’incontro con il fratello di Peppino Impastato, Giovanni, testimone della lotta contro la criminalità organizzata nel segno della vicenda del fratello è stato organizzato dalla CGIL Sp, dalla Consulta provinciale studentesca di Cremona e ovviamente dallo Ial e Torriani e dal Comitato Provinciale per la Legalità.

peppino impastato

Peppino Impastato

A fare gli onori di casa è stata la preside del Torriani, Roberta Mozzi che ha ricordato quando con i suoi studenti era stata in Sicilia nei luoghi di Peppino Impastato e delle emozioni rimaste indelebili.

A portare i saluti della comunità cremonese è stato il sindaco Gianluca Galimberti che ha promesso di richiamare Giovanni Impastato per la presentazione del libro: «Mio fratello, tutta una vita con Peppino». Lotta alla legalità, rispetto dei diritti, ma soprattutto capacità di andare oltre, col ribadire la legalità riuscire a fare comunità.

Per questo Elena Simetti e Nicola Dolfini della Masseria di Cisliano in provincia di Milano hanno raccontato cosa sono i campi di lavoro e come i beni confiscati alla mafia possano diventare risorse sociali e di integrazione di primo piano.

L'IMPERATIVO ETICO DELLA TESTIMONIANZA.

Giovanni Impastato nel rispondere alle domande dei ragazzi e nel suo intervento introduttivo in un’aula magna tanto vasta quanto attenta e silenziosa ha fatto riecheggiare l’imperativo etico della testimonianza, il dramma di una famiglia che vive in un contesto mafioso, appartiene a quel contesto e deve fare i conti con quel figlio ribelle, che ha dentro il fuoco del diritto, l’allergia all’ingiustizia e ai soprusi.

A introdurre l’ospite è stato Alessio Maganuco della Cgil che ha chiesto a Giovanni Impastato di raccontarsi, di dire del suo impegno. A tale richiesta Impastato è partito in quinta raccontando la ragione che da oltre vent’anni lo porta a girare per l’Italia e a raccontare il sacrificio del fratello Peppino, ucciso il 9 maggio del 1978, lo stesso giorno in cui fu trovato il corpo di Aldo Moro, «per questo si è tentato di far passare mio fratello come terrorista, ma non lo era, per questo recuperarne la storia e la memoria, al di là dell’ambito familiare non è stato facile — ha raccontato —. In questi anni abbiamo raggiunto tante persone, ma a farlo in maniera incredibile e inarrivabile è stato senza dubbio il film I 100 passi che il regista Marco Tullio Giordana ha voluto dedicare alla storia di resistenza di mio fratello. Perché di resistenza alla mafia si è trattato, di impegno a difesa della legalità».

E se il film del regista di origini cremasche con un giovanissimo Luigi Lo Cascio ha costituito l’incontro di molti ragazzi con la storia di Peppino Impastato, il fratello Giovanni ha portato gli studenti dalla fiction alla realtà raccontando di quel fratello più grande di lui che «all’età di 17 anni fondò il giornale L’idea, che si schierò a fianco dei contadini per difendere i terreni destinati ad essere utilizzati per l’autostrada e l’aeroporto, che denunciò il sistema mafioso — afferma —. E noi eravamo una famiglia mafiosa, abitavamo a 100 passi dalla casa di Gaetano Badalamenti. Mio padre ripudiò quel figlio che andava contro il sistema, per paura, perché il sistema mafia era mondo per la Sicilia e a Cinisi». 

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