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‘Ciò che una donna può fare’: le vestali dell’arte, geni disobbedienti

La cremasca Chiara Montani ‘dipinge’ a parole diciotto profili di grandi e coraggiose artiste italiane

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

15 Gennaio 2025 - 05:30

CREMA - «Ho provato a calarmi nei loro pensieri e nelle loro emozioni attraverso le opere con un approccio che ho solitamente come arte terapeuta nonché come scrittrice, quando mi capita di mettere in scena personaggi storici». Con ‘Ciò che una donna può fare. Le grandi artiste nella storia dell’arte italiana’ la cremasca Chiara Montani conferma di avere una dote rara: trattare la storia dell’arte come un grande e appassionante romanzo, un affresco nel quale sa sapientemente miscelare storia, aneddoti e sentimenti. È ricca di spunti, annotazioni e fatti la sua conversazione con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.

SOFONISBA NEL CUORE

I nomi di Properzia de’ Rossi (1490-1530) o Giovanna Garzoni 1600-1670), ai più sono sconosciuti, eppure hanno fatto la storia non solo dell’arte italiana ma anche del costume. Per quanto si cerchi tra le pagine e gli indici dei nomi, delle donne non c’è quasi traccia, tranne qualche specchietto in cui le artiste appaiono come stravaganti curiosità. «Purtroppo le donne che hanno osato rivendicare un diritto apparentemente banale come quello a esprimersi non solo hanno pagato prezzi alti, anche le poche che ce l’hanno fatta sono finite nell’oblio, cancellate da una storia dell’arte relegata in mani maschili. Oggi va di moda parlare della donna artista, si fanno mostre e si scrivono saggi e romanzi. Ma quelle note ai più sono sempre le solite, Artemisia Gentileschi (1593-1654/56), la nostra, nel senso di cremonese, Sofonisba Anguissola (1532 ca.-1625) e poche altre. Il resto di questo universo femminile è noto soltanto a uno sparuto manipolo di studiosi».


In questa galleria di donne ce n’è una in particolare che ha stupito l’autrice rendendola particolarmente felice di averla posta ancora una volta sotto i riflettori. «La donna del mio cuore è Sofonisba. Mi ha affascinato aprendomi la porta sul mondo delle donne artiste. Un personaggio straordinario non solo per la sua arte e come anticipatrice dei tempi, ma soprattutto per la sua profondità psicologica. Tanto brava che molto suoi lavori sono stati addirittura confusi con quelli di Tiziano o di grandi artisti del suo tempo. Ma soprattutto mi ha fatta innamorare la sua vita avventurosa. Ce ne sono però tantissime altre che nel calarmi nelle loro vite, mi hanno affascinata e sorpresa, vicende meritevoli di avere un romanzo dedicato».


Quando gli uomini e gli storici dell’arte dal Rinascimento in poi parlano di donne lo fanno quasi sempre con accenti paternalisti, quasi fossero un incidente di percorso. «Giorgio Vasari, per esempio, dice della suora pittrice di Plautilla Nelli (1524-1588) che avrebbe fatto cose meravigliose se come gli uomini avesse avuto comodo di studiare. E sottolineo avrebbe. Caspita le ha fatte! C’è una sua Ultima cena, forse l’unica dell’età moderna dipinta da mani femminili. È enorme, 7 metri tela in cui ha fatto l’impossibile per una donna che non aveva mai visto neanche l’anatomia di un uomo: ha reso molte reazioni psicologiche diverse con grandissima maestria. Di Properzia de’ Rossi sempre Vasari scrive che era un grandissimo miracolo della natura, come a dire che era una bizzarria. Carlo Cesare Malvasia parla per esempio di Lavinia Fontana (1552-1614) esaltandone le doti muliebri più che quelle artistiche. E via così fino al famigerato Abate Antonio Schinella Conti, matematico padovano, che di Giulia Lama (1681-1747) scrive, volendo farle un complimento che è così brava e aggraziata sia nell’esprimersi con l’arte che nel parlare che le si perdona facilmente il suo viso. Quindi addirittura lo stigma estetico che si abbatte».

VOGLIA DI RIVALSA

D’altro canto da parte femminile c’è sempre il desiderio di rivalsa, il bisogno di dimostrare il proprio valore. Lo attesta la frase scelta per dare il titolo al libro. La si trova in una lettera di Artemisia Gentileschi al committente don Antonio Ruffo: «Il nome di donna fa sempre stare in dubbio sulla qualità dell’opera, ma io farò vedere a vostra signoria illustrissima cosa sa fare una donna». Colpisce, leggendo il libro una specie di fil rouge fra tutte le 18 storie narrate: donne che per lasciarsi andare nella loro passione pittorica spesso hanno rinunciato alla vita e, salvo eccezioni, vi si sono dedicate interamente abbandonando la speranza di di avere un futuro, dei figli, una vita serena.

DAL RINASCIMENTO A OGGI

Insomma per la lotta per affermarsi. «Per cominciare va detto che era prassi che una donna che volesse dedicarsi all’arte, considerata una bizzarria, potesse farlo solo tra le pareti di un chiostro. Quindi alcune hanno scelto consciamente di farlo, diventando così vestali dell’arte. Fede Galizia (1574/78-1630), nello studio paterno ha imparato tutto, però di fatto vi era a tenuta prigioniera. Quindi non ha neanche mai sentito il desiderio di farsi una famiglia. Lo stesso vale per Giovanna Garzoni, che aveva avuto un matrimonio molto particolare finendo addirittura sotto processo per stregoneria. Lei aveva subito le nozze, facendole poi annullare per consacrarsi completamente all’arte».

La ‘cavalcata’ nella storia dell’arte di Montani attraversa le epoche: gli splendori Rinascimentali, le ombre caravaggesche, le sottigliezze psicologiche del Settecento e la sensualità fin de siècle, l’impressionismo e il futurismo, fino alle enigmatiche ed eteree composizioni di Leonor Fini (1907-1996). Prova che la storia dell’arte a cui siamo abituati presenta gravi lacune e che le pittrici troppo a lungo sepolte fra le sue pieghe non furono solo figlie ribelli della borghesia o nobili eccentriche, ma artiste complete. Diciotto storie da conoscere.

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