L'ANALISI
19 Marzo 2023 - 05:15
CREMONA - Nello smartphone conserva il video e la fotografia di lei in coda con le sue due sorelle per salire sull’aereo che l’ha salvata dai talebani, ma l’ha allontanata da mamma e papà. Uno strappo dolorosissimo.
Mercoledì 25 agosto del 2021, aeroporto di Kabul. Dieci giorni prima, i talebani sono entrati nella capitale, portando a termine la riconquista del Paese, dopo 20 anni. Da un anno e sette mesi Ghiso non sorride più, i suoi occhi sono velati di tristezza, perché i genitori sono bloccati a Islamabad, in Pakistan. Eppure, avrebbero il sacrosanto diritto di riabbracciare le figlie qui a Cremona, di ottenere il visto e ricongiungersi a loro.
«Aiutateci a portare qui i nostri genitori, la mamma è malata, ha il diabete, l’insulina è il suo salvavita», è l’accorato, disperato appello delle tre sorelle che vivono in una struttura protetta in città con lo status di rifugiate.
Ghiso ha 22 anni, Mariam e Mastora ne hanno 32 e 20. Prima che i talebani si riprendessero l’Afghanistan, la loro vita a Kabul era felice. Il papà, oggi 64enne, era preside in una scuola superiore e lavorava con gli americani. La mamma, 58 anni, casalinga, si è occupata dei sette figli: sei femmine e il maschio, tutti laureati o studenti universitari. Una famiglia smembrata. Il maschio è giornalista e ha ottenuto asilo politico in Francia. A Kabul, da otto anni Mastora, una laurea in matematica, insegnava alle superiori, Ghiso studiava Ingegneria civile e continua a studiarla al Politecnico di Milano, Mariam studiava Medicina, ora Informatica a Milano.
Una delle sorelle ora vive in Germania, fa l’informatica, l’altra studia Medicina in Cina, l’altra ancora si è appena ricongiunta a Milano con il marito, dopo aver lasciato a Islamabad i genitori. Una decisione sofferta.
L’angoscia spegne la luce del volto di Ghiso.
Il 19 agosto del 2021, la famiglia ha lasciato in fretta e furia la casa in centro a Kabul. Per arrivare in aeroporto ci ha messo giorni. I genitori erano nelle liste del governo italiano e se non fosse stata per quella maledetta bomba scoppiata fuori dall’aeroporto, sarebbero partiti tutti insieme.
Mamma e papà invece sono rimasti al di là della rete, le tre sorelle erano già al di qua. Sono partite con il loro carico di angoscia e speranza di riunirsi ai genitori. Il volo per il Pakistan. Dal Pakistan alla Germania, dalla Germania a Roma, l’arrivo a Cremona. I genitori sono poi riusciti a raggiungere il Pakistan. «Una tappa provvisoria». Così credevano.
La madre e il padre sono ancora inchiodati a Islamabad, dove per gli afgani la vita è molto cara. «Condividono la casa con un’altra famiglia afgana. È difficile mantenersi».
Il 4 agosto di un anno fa, le figlie hanno presentato il carteggio per far ottenere ai genitori il visto d’ingresso. Il 7 settembre successivo, la doccia fredda recapitata dall’ambasciata d’Italia a Islamabad. «Vista la richiesta di suo figlio/ figlia per il visto d’ingresso … vista la documentazione depositata a corredo della stessa presso questa Cancelleria Consolare, ai sensi dell’articolo 10 bis della Legge 241/1990. Le comunico che la sua richiesta di visto d’ingresso all’oggetto indicata non è accolta per i seguenti motivi: dovrebbe pertanto presentare la informazione con prova documentale riguardo la residenza degli altri suoi figli… Distinti saluti».
Al Tribunale di Brescia pende il ricorso. Ma tutto tace. «Le istituzioni dove sono?» Già. Bisogna calarsi nei panni di Ghiso, Mariam e Mastora: quanto dolore, quanta preoccupazione. E quanta paura, moltissima, che ai genitori possa capitare qualcosa. Una paura così forte che Ghiso, Mariam e Mastora sono nomi di fantasia. «Non si studia bene, non si dorme bene».
Il loro pensiero è fisso là, ad Islamabad, alla madre e al padre che sentono ogni giorno a distanza: una tortura nella tortura. Da Cremona le sorelle rilanciano l’appello: «Aiutateci, perché se i nostri genitori vengono rimpatriati in Afghanistan, rischiano la vita».
Soprattutto, la vita la rischia il padre. I talebani ti cercano casa per casa. Mastora ha mantenuto i contatti con le sue ex colleghe rimaste a Kabul. «Sono tristi, piangono, non possono uscire da casa sole, possono uscire solo accompagnate da un uomo», dal ‘protettore dell’onore’. «C’è tanta gente che prova ad uscire dall’Afghanistan», dice. Ci ha provato anche una loro familiare. Era sulla barca naufragata davanti a Cutro, all’alba del 26 febbraio scorso. È tra gli 88 migranti morti.
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