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3 MINUTI 1 LIBRO: IL VIDEO

Mario Calabresi, il coraggio di cambiare strada

Dalla mamma che lascia un diario per i figli a un amore lungo 60 anni. L'autore racconta 14 storie straordinarie di persone normali

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

18 Gennaio 2023 - 05:20

CREMONA - «Mi chiedevo quale fosse la cosa più importante che definisce le nostre vite. Le risposte sono tante, ognuno ha le sue: l’amore, i figli, l’amicizia, il lavoro, le battaglie. Ma, mi domandavo anche: esiste una cosa che le racchiude tutte? La risposta che mi sono dato, quella che metterei io in un vocale per le mie figlie, è che la cosa più importante è la capacità di scegliere, avere il coraggio di decidere che strada prendere, con chi percorrerla, seguendo quali idee. Essere protagonisti della propria esistenza, alzare gli occhi, non farsi travolgere dalle ansie, dalle paure e dalle urgenze. Saper distinguere l’importanza dall’urgenza». È partito da queste domande (e risposte) esistenziali Mario Calabresi, giornalista e scrittore, per scegliere le 14 vite da raccontare nel suo nuovo libro «Una volta sola, la storia di chi ha avuto il coraggio di scegliere». Ne parla con Paolo Gualandris nella video-intervista online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.

Un libro il cui obiettivo è dichiarato già nell’immagine di copertina: un tuffo per volare al di fuori dal volume stesso. «Un volo verso il futuro, il cambiamento - spiega -. Abbiamo vissuto un tempo terribile in cui è successo qualcosa di impensabile come la pandemia, una fase dalla quale siamo riemersi con una sensazione forte: nella nostra quotidianità in quello che davamo per scontato ci sono molte cose preziose. E soprattutto ci siamo resi conto che si vive una volta sola. E allora, di fronte a questo, io penso che la cosa più importante che possiamo fare è scegliere: che fare, con chi stare, con chi vivere, cosa pensare, da che parte stare. E quindi, io credo che avere il coraggio di cambiare sia fondamentale».

Ha raccolto storie straordinarie di persone comuni in cui, anche laddove sembrava non esserci più alcuna possibilità, c’è stata un’apertura verso il nuovo. Come quella di Rachele, che a 38 anni e incinta del terzo figlio scopre di avere un tumore. Da lì la decisione di scrivere un diario da lasciare ai suoi bambini. Lo fa mandando a Calabresi venticinque messaggi vocali, un racconto senza sconti o giri di parole di tutto quello che ha vissuto. Un tesoro per i suoi ragazzi. Un tesoro che Calabresi, purtroppo, invece non ha potuto avere: «Ho aiutato questa donna perché io ho passato la mia vita a cercare di ricostruire e recuperare i pezzi e le tessere di un mosaico su quello che era stato mio padre, che non ho potuto vedere perché l’ho perso che avevo due anni e mezzo. Quando mi ha chiesto di assecondarla ho pensato che dovevo farlo perché è veramente cosa preziosa che una madre lasci ai figli un un patrimonio al quale loro potranno continuamente attingere crescendo».

Calabresi ha trascritto quella memorie. «Oggi Rachele non c’è più, ma riascoltare la sua voce e le sue parole ha acceso in me una domanda: per che cosa vale la pena vivere? Così ho cominciato a osservare e ascoltare come sta cambiando il mondo e ho cercato persone che potessero regalarmi con l’esempio una convinzione: non si deve sprecare un solo istante. Bisogna essere fedeli a sé stessi, fare scelte coraggiose e appassionate, vivere con intensità. Per Franco ciò significa, dopo oltre sessant’anni di vita insieme, non lasciare la mano di sua moglie neppure per un giorno; per Claudia, trovare la forza di ribellarsi al marito camorrista; per Camilla, attraversare l’oceano in cerca delle proprie origini; per Sami, rispondere con l’impegno e la memoria agli orrori che hanno segnato la sua storia; per Laura, scegliere la vita, reagire, anziché rinunciare e arrendersi».

Calabresi è riuscito a raccontarle dribblando il rischio maggiore, quello della retorica, «che a me fa abbastanza orrore - confessa-, quindi io cerco di stare molto legato ai dati fattuali, cioè racconto le vite delle persone dopo averle ascoltate a lungo, ne illumino i dettagli, mi soffermo su che cosa hanno pensato senza ricamarci sopra con aggettivi che abbelliscono o rendono triste e drammatica la scena». Sono storie che «parlano» da sole, come quella della donna rimasta incinta a 16 anni di un ragazzo di Napoli che poi aveva fatto carriera criminale e che a un certo punto della sua vita, proprio durante uno dei lockdown, era disperata da questa esistenza e aveva un solo desiderio: che il figlio non diventasse un criminale come suo padre. O come quella di Pietro Nava, il primo a testimoniare in tribunale su un delitto di mafia al quale ha assistito, quello del giudice Rosario Livatino. «Ha pagato molto cara la sua scelta - sottolinea Calabresi-: ha dovuto cambiare nome, vita, lavoro, è stato lasciato dalla moglie. Sono andato a cercarlo perché volevo sapere se si fosse mai pentito. Mi ha risposto semplicemente ‘no perché quando tu fai una cosa che sai essere dalla parte giusta allora ne puoi essere orgoglioso tutti i giorni’. Una lezione che ha confessato di aver appreso dal padre, alla quale è sempre rimasto fedele».

 

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