L'ANALISI
20 Febbraio 2013 - 16:06
MARTA COMPIANI — «Aprite le virgolette: tutta la conoscenza è preziosa, anche quella che per l’uomo non ha utilità. Chiudete le virgolette» sottolinea Hector. I suoi otto giovani studenti lo adorano, e a ragione. Di certo un altro professore come lui non esiste. Siamo a Sheffield, nel 1985, in una classe di scuola, una scenografia composta solamente di banchi, sedie e lampade. Le cose però stanno per cambiare: a turbare la quiete degli otto studenti, arriva Irwin, un nuovo docente molto giovane e ambizioso con il compito di aiutare gli studenti ad entrare nelle più prestigiose università inglesi: Oxford e Cambridge. Per fare questo, però, è necessario uscire dai propri schemi e cambiare punto di vista perché la storia si può raccontare in tanti modi diversi. Tutto a un tratto lo spettacolo diventa un viaggio alla scoperta di se stessi, della propria sessualità e della storia, tra citazioni letterarie e dialoghi comici. Questa brillante pièce teatrale, tratta dal capolavoro di Alan Bennet, è andata in scena al Teatro Ponchielli il 5 febbraio. L’opera, rivisitata da Ferdinando Bruni e da un Elio De Capitani, epico nella parte dell’eccentrico Hector, ha strabiliato il pubblico con i suoi colpi di scena e la simpatia dei suoi personaggi, così diversi tra loro eppure, per lo spettatore, è facile trovare un po’ di se stesso in ciascuno di loro: dal leader del gruppo Dakin (Angelo di Genio), un po’ sbruffone e donnaiolo, al più delicato Posner (Vincenzo Zampa) ebreo e innamorato non troppo segretamente di Dakin, all’anticonformista Mrs Lintott (Debora Zuin) circondata da uomini che la trattano come un'amica fedele, come lei stessa si definisce, per lamentarsi poi: «Riesce anche per un attimo a immaginare quanto possa essere deprimente insegnare cinque secoli di inettitudine maschile?». The history boys è una commedia originale e profonda che non fa riflettere solo sulla Storia, con la S maiuscola, e sulle varie opinioni che ciascuno di noi può avere ma anche sull’importanza della verità, che come dice Irwin: «In un esame non è fondamentale», della letteratura come mezzo di sapere, della poesia come modo per conoscere se stessi e riuscire a comprendersi un po’ più a fondo. Applausi e sorrisi alla fine della commedia: queste le reazioni del pubblico, un loggione completamente in piedi ad applaudire l'originalità e la bravura degli attori. Un opera che è degna di essere ricordata nella storia, nonostante come dice Rudge, il meno intellettualoide dei personaggi: La Storia sono solo piccoli fatti, l’uno dietro l’altro.
ANDREA BERGONZI — Cosa significa essere adolescenti all’ultimo anno del college? È gioia, divertimento, fatica, sudore, ansia e coraggio. È aspettativa e voglia di fare. È pensare di poter conquistare il mondo. È un passo dall’università, quel posto così speciale, elitario, dove il ragazzo corona la sua maturazione culturale, sulla base dei suoi sogni e delle sue attese, e dove può, vuole, deve ad ogni costo arrivare. Anni di sforzi e sacrifici lo spingono a volere il meglio per sé, esattamente come quegli History Boys (frizzanti e naturali tutti i ragazzi in scena: Amato, Bonadei, Di Genio, Fabiani, Germani, Zampa, Lussiana, Troianello). Brillanti, provocatori, a tratti saccenti: ecco gli otto giovani aspiranti universitari a Cambridge ed Oxford, créme de la créme degli istituti anglosassoni, ai quali devono assolutamente essere ammessi, chiaramente anche per il buon nome del loro college -così, almeno, auspica il preside (Calindri). Chi se non un personaggio altrettanto eccentrico poteva essere il loro insegnante d’inglese, se non Herman (grande Elio De Capitani) professore deciso, follemente anti-conformista, capace di alternare momenti di pura poesia ad altri di spiazzante concretezza, dall’atteggiamento promiscuo e un po’ troppo intimo con i suoi allievi? Sulla scena non manca tuttavia il ‘nemico’ di Herman, Irwin, professore di storia, rivelatosi alla fine molto meno meritevole di quanto volesse sembrare, secondo il quale la verità delle cose non vale pressoché nulla rispetto al punto di vista dal quale si osservano le cose stesse ed alle modalità con le quali si espongono. I ragazzi ottengono bene o male ciò che vogliono; non manca tuttavia il finale tragico, il quale si innesta nel clima di ambiguità dominante e costante. Insomma History Boys, più che inscenare una vera e propria storia, racconta la scuola oggi, con naturalezza e semplicità -la scenografia dipinge appunto un ambiente scolastico: poche sedie, due cattedre, alcuni armadietti. Numerose le proposte di riflessione lanciate al pubblico attraverso battute talvolta esilaranti: l’omosessualità, la storia -su cui si sofferma la professoressa Mrs Lintott (Zuin)-, l’idea di verità, il senso della scuola. Perché un conto è insegnare, un altro è allenare a rispondere a domande; uno è sapere, un altro è fingere di sapere…
FRANCESCA GALLI — Applausi scroscianti al Ponchielli dopo l’energica rappresentazione di The History Boys per la regia di Ferdinando Bruni e Elio de Capitani. Protagonisti della pièce di Bennet sono otto studenti all’ultimo anno delle superiori, alle prese con gli esami per entrare all’università. Il loro insegnante di letteratura, Hector (Elio de Capitani), è un anticonformista ispirato le cui lezioni prevedono d’imparare a memoria poesie e scene di vecchi film, di vivere intensamente ogni verso e ogni parola, di capirne il profondo significato. Il preside (Gabriele Calindri) invece vorrebbe i ragazzi più brillanti e giornalistici, pronti a fare bella mostra di sé con i commissari di Oxford e Cambridge: entra dunque in gioco Irwin (Marco Cacciola), insegnante di storia dallo stile spregiudicato per il quale il segreto del successo è saper rimescolare le carte in tavola attraverso creatività, sfacciata dialettica e qualche falsità. Le carte sono però quelle della grande Storia, ed è appunto la verità stessa che Irwin giunge a porre in discussione. Si delinea così uno dei temi fondanti dell’opera, il dibattito sul valore della cultura e su come essa debba essere trasmessa. L’altro tema è quello della biografia sentimentale di otto studenti e dei loro insegnanti, tante vicende che s’intrecciano in un clima di tacito accordo tra le due parti, un meccanismo che resta intatto finché racchiuso tra le pareti di quell’aula di scuola. La prova degli attori è eccezionale, in particolare quella dei ‘boys’: sempre in molti sul palco sono perfettamente inseriti nella macchina scenica, recitando anche nel restare in silenzio. Menzione speciale spetta a Debora Zuin, l’interprete di Mrs Lintott, unica voce femminile dell’opera dalla presenza forte e dalla personalità ironica e sagace. La scenografia è ordinaria: cattedre, lavagna, sedie, panche, armadietti. E’ la fotografia di una qualunque scuola, a ricordare l’estrema concretezza della storia che è portata in scena. E’ un’opera più che mai attuale, nella forma e nel contenuto, dal linguaggio diretto e colorito, che non lascia adito a dubbi d’interpretazione. L’interesse dello spettatore è catturato dal desiderio di conoscere lo svolgersi dei fatti, diversamente da una rappresentazione classica di cui tutti conoscono la trama. Forse è stata questa peculiarità ad aver soddisfatto molti giovani che nel pubblico del Ponchielli non sono mancati.Mediagallery
MOBILITATI PER LA PALESTINA
TRA CASALMAGGIORE E COLORNO. IL VIDEO
Prossimi EventiScopri tutti gli eventi
Tipologia
Data di inizio 6 settembre 2025 - 14:15
Ritratti sospesi tra forma, silenzio e identità
Tipologia
Data di inizio 6 settembre 2025 - 16:30
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris