L'ANALISI
04 Dicembre 2025 - 08:39
Jamie Vardy
CREMONA - Ci sono partite che sembrano scritte dal destino, serate in cui il calcio si trasforma in un racconto più grande delle sue stesse regole. La notte del Dall’Ara tra pioggia e un freddo già pungente è stata esattamente questo: un frammento di storia (era dal 1987 che la Cremonese non vinceva a Bologna) sospeso tra emozione, orgoglio e quella magia che appartiene solo ai grandi protagonisti. E al centro di questa storia c’era lui, Jamie Vardy, 38 anni (tra un mese 39) portati con la leggerezza dei predestinati, con il passo dell’uomo che non ha nulla da dimostrare e allo stesso tempo vuole dimostrarlo ogni volta. La sua doppietta a Bologna ha illuminato lo stadio Dall’Ara come una fiaba moderna, una scintilla di talento e determinazione che ha riacceso la corsa della Cremonese e riportato al centro della scena un campione che continua a sfidare il tempo.

Due gol, sì. Ma non solo. Due gol che raccontano un percorso, una vita sportiva che assomiglia più a un romanzo che a una carriera. La storia dell’operaio metalmeccanico diventato bomber di provincia, poi idolo del Leicester dei miracoli di Ranieri, infine leggenda della Premier League. Un uomo che non ha mai dimenticato da dove è partito, e forse proprio per questo riesce ancora a giocare come se il calcio fosse il suo primo amore: con fame, generosità, responsabilità. Con quel modo di muoversi che pare un invito costante agli altri a credere di più nei miracoli.
La doppietta del Dall’Ara lo ha portato a quota quattro gol in nove presenze con la maglia grigiorossa: un dato che va ben oltre la statistica. Con quattro reti, Vardy ha agganciato Bonazzoli in cima alla classifica cannonieri della Cremonese, confermandosi un riferimento imprescindibile nell’attacco di Nicola. E se le cifre spesso ingannano, questa volta raccontano esattamente ciò che si vede in campo: in nove partite giocate, Vardy ha collezionato 695 minuti, rimanendo titolare nel 64% delle gare e disputando il 70% dei minuti complessivi a disposizione. È il segno di una presenza stabile, affidabile, centrale nei piani dell’allenatore che ha fatto a meno di lui solo dopo l’infortunio accusato a Verona.
Non solo gol: Vardy partecipa al 36% delle reti segnate dalla Cremonese, un dato significativo, soprattutto se si considera che il suo ruolo non è più solo quello del finalizzatore puro ma dell’attaccante totale. Nelle statistiche si leggono anche i 10 tiri complessivi, di cui 6 nello specchio, e un valore di expected goals 2.0, a dimostrazione della sua capacità di trasformare in oro anche situazioni non sempre limpide. A 38 anni, continua ad avere una freddezza sotto porta che in pochi possono vantare: la sua resa supera attualmente le aspettative matematiche, dettaglio che appartiene ai veri fuoriclasse.
In campo è un faro. Corre, pressa, indica la strada ai compagni. La sua leadership non ha bisogno di urla: vive nei movimenti, nei tempi delle giocate (il secondo gol al Bologna sarebbe da proiettare nelle scuole calcio), in quel modo tutto suo di dettare il ritmo della squadra. Fuori dal campo, invece, Vardy è un compagno silenzioso ma determinante, una presenza che parla quando serve e soprattutto ascolta. Lo sanno bene i suoi compagni, che hanno trovato in lui un punto di riferimento. Lo sa anche il capitano Matteo Bianchetti, che nel post-partita ha voluto sottolineare il valore umano prima ancora di quello tecnico: «È uno che nello spogliatoio sa farsi sentire nella maniera giusta». Un complimento che pesa, perché arriva da chi vive quotidianamente il gruppo e ne percepisce gli equilibri.
E poi c’è Davide Nicola, l’allenatore che da sempre misura le parole e che raramente si lascia andare a definizioni importanti. Questa volta, però, non ha avuto esitazioni: «Jamie è un campione vero. A certi giocatori non devi dire molto: sanno come gestirsi, come rendere efficaci i loro gesti, dentro e fuori dal campo». Parole nette, che certificano ciò che ogni tifoso della Cremonese sta imparando ad apprezzare: Vardy è un leader tecnico e mentale, un acceleratore di entusiasmo e di identità.
Ma per comprendere il carico emotivo della sua notte di Bologna bisogna fermarsi un attimo e guardare tutto ciò che c’era attorno. Sugli spalti, tra la folla del Dall’Ara, c’era una piccola colonia di tifosi del Leicester nel settore grigiorosso. Gente che Vardy lo considera uno di famiglia, che lo ha visto diventare leggenda, che lo segue ancora oggi come se nulla fosse cambiato. Sono arrivati fino a Bologna con sciarpe blu e le sue vecchie maglie, con un affetto che supera i confini e che racconta più di mille parole il legame che questo uomo ha saputo costruire. A Cremona ormai sono di casa. A Bologna hanno fatto sentire di nuovo quell’emozione che il numero 9 conosce bene. E lui, come sempre, ha risposto.
La doppietta del Dall’Ara ha avuto anche il sapore dolce della rivincita dopo giorni amareggiati da un episodio doloroso: il furto nella sua casa di Salò, che gli aveva portato via oggetti per un valore stimato di 80.000 euro e soprattutto la serenità. Il sorriso del bomber era rimasto offuscato, ferito da un gesto che colpisce l’intimità prima ancora del portafoglio. Ma il campo, per chi come lui vive di calcio, è tornato a essere rifugio. Un luogo sicuro, un terreno dove scaricare la tensione, trasformarla, rimettere insieme i pezzi. I campioni reagiscono così: non con le parole, ma con i fatti. E Vardy l’ha fatto segnando due gol d’autore, due colpi di martello (quello che usava ai tempi della fabbrica) alla squadra e a sé stesso.
A fine partita, con l’umiltà dei grandi, ha ridimensionato tutto: «I due gol sono importanti, certo. Ma la cosa più importante è la squadra e avvicinarsi al nostro obiettivo». Parole semplici, quasi scontate, che però nel suo caso diventano il manifesto di un modo di vivere il calcio che lo accompagna da sempre. Vardy non si pone mai al centro: si mette al servizio. E lo fa con la naturalezza dei fuoriclasse veri.
È per questo che la Cremonese se lo gode come un dono. Un sono arrivato però dopo una trattativa di mercato geniale della proprietà e condotta dal ds Simone Giacchetta. Vardy non è solo un mito e adesso anche gli squadroni (sterili nei bomber) delle prime posizioni stanno rimpiangendo di non averci fatto una pensata e di aver forse considerato l’operazione Vardy solo commerciale. Jamie è un mito non solo per ciò che fa sul campo, ma per ciò che rappresenta: un uomo che ha scelto il grigiorosso non per un ultimo contratto, ma per sentirsi di nuovo parte di qualcosa, per condividere un progetto, per tentare un altro miracolo. Perché ci sono giocatori che vivono del proprio passato, e poi c’è Jamie Vardy, che continua a scriverlo. Ogni partita, ogni corsa, ogni gol aggiunge un capitolo a una storia che somiglia sempre più a un amore che non finisce mai.
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