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L’INTERVISTA

Monica Signani: «Passione e sentimento, l’atletica è la mia vita»

Istruttore da oltre 30 anni alla Cremona Arvedi: i primi passi, la carriera, gli obiettivi

Felice Staboli

Email:

fstaboli@laprovinciacr.it

19 Febbraio 2025 - 05:10

Monica Signani: «Passione e sentimento, l’atletica è la mia vita»

CREMONA - "Se faccio una cosa, cerco sempre di farla al meglio delle mie possibilità, non conosco un’altra strada". E così da 30 anni è istruttore giovanile dell’Atletica Arvedi, è stata presidente Fidal provinciale e anche consigliere sia provinciale che regionale, laureata in Economia a Pavia, lavora presso l’Asst di Cremona. Non ama la ribalta, preferisce stare sempre mezzo passo indietro, a meno che sia sul campo di atletica, con i ragazzi. Segni particolari: tutti la stimano, tutti le vogliono bene. Da sempre.

signani

Monica Signani con alcuni dirigenti e insieme a Stefano Mei, presidente della Fidal nazionale

Monica Signani, da dove nasce questa stima trasversale nei suoi confronti?
«Non so, non saprei cosa rispondere. Cerco solo di fare la mia parte, ci metto tutta me stessa, questo sì».

Come è nato il suo rapporto con l’atletica?
«Ho cominciato a 13 anni, ero una lanciatrice, allenatore Pietro Frittoli. Non ho avuto risultati eclatanti, ma mi piaceva molto lo stesso. Mia sorella, Loretta, era molto più brava di me, è stata vice campione italiano di salto in lungo».

Poi?
«Ho gareggiato fino a 27 anni e lì mi sono detta che era ora di smettere».

Come è diventata istruttore?
«Ho seguito un corso in FederFidal. Dal ‘94 mi occupo dei ragazzi, tutto qui».

Qual è la disciplina di riferimento?
«Come società abbiamo una filosofia ben precisa: fino a 14 anni i ragazzi provano a fare tutto, li alleno in tutte le discipline».

Le piace?
«Sì, molto, è una filosofia che condivido, da almeno 30 anni».

Ha avuto anche incarichi dirigenziali notevoli.
«Nel ‘98 sono subentrata a Tiziano Zini come presidente Fidal provinciale, lui era passato in Regione, sono entrata a mia volta in consiglio regionale Fidal nel 2004 e poi di nuovo nel direttivo provinciale con Mario Pedroni».

Qual è la chiave o il segreto per resistere così a lungo?
«Mettersi a disposizione di tutte le società, conciliare le esigenze di tutti in modo imparziale. Ognuno vede le cose dal proprio angolo, alla fine serve fare una sintesi e trovare un punto di incontro per andare avanti».

C’è sempre riuscita?
«Ce l’ho sempre messa tutta. A volte, ammetto, ti senti anche un po’ solo e ti ritrovi ad affrontare un grande lavoro sul territorio. È un impegno, una sorta di dopo lavoro che ti assorbe e ti prende la vita, anche se alla fine resti lo fai perché ti piace, da volontario».

A proposito, lavoro, famiglia, impegni: come riesce a mettere in fila tutto?
«La mia famiglia è pienamente coinvolta in questa avventura. Mio marito, Andrea Leoni, è un runner, mezzofondista. Si allena regolarmente e mi asseconda. Mia sorella Loretta è stata vice campione italiana di salto in lungo. Ecco, credo che il segreto sia tutto qui».

Quando allena i ragazzi?
«Un paio di volte alla settimana, al Campo scuola o alla palestra Corte, lì vicino».

Che cosa rappresenta l’Atletica Arvedi?
«Due cose: prima di tutto, dal punto di vista sportivo la società è stata sempre gran parte della mia vita, nel senso che non riesco ad immaginarmi in modo diverso da come sono e l’Arvedi mi ha permesso di esprimermi e realizzarmi, ovvero trovare la mia strada e la mia dimensione».

E l’altra?
«L’altro aspetto è che io condivido tutto: lo spirito di gruppo, il modo di impostare l’attività, di portarla avanti».

A cosa fa riferimento?
«Il messaggio è questo: lo sport deve avere prima di tutto un valore educativo. Su questo non si transige. Il risultato è una conseguenza. Mi spiego: il primo obiettivo è migliorare te stesso, seguire un metodo e un percorso per crescere. Poi, se arrivano anche le prestazioni tecniche, tanto meglio. E, lo sappiamo, ne sono arrivate molte, nessuno qui si tira indietro, anzi».

Il suo bilancio personale è positivo?
«Sì. Non tutti i ragazzi sono uguali, è ovvio. C’è ancora comunque chi vuole mettersi in gioco, che vuole stare in gruppo. Certe volte non è semplice».

Come ci è riuscita in 30 anni?
«Serve competenza. I ragazzi percepiscono cosa sei in grado di trasmettere. Poi serve esperienza ed è normale. Infine, passione. Non ci sono formule magiche, ma tre punti da cui nessuno può derogare».

A chi deve dire grazie?
«Alla mia famiglia, mio marito, tutte le persone con cui ho condiviso questi anni. E una in particolare: Ivana Filippi. Lei è il tecnico dei più piccoli, abbiamo condiviso lo stesso percorso».

E per il futuro? Qual è l’obiettivo?
«Andare avanti con passione. Mi fa stare bene. E questa è la mia vita».

Dopo tutti questi anni la passione resiste? Si diverte ancora?
«Sì, molto».

Sarà per questo che tutti le vogliono bene?
«Non saprei. Chissà».

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