L'ANALISI
15 Novembre 2024 - 08:18
Marco Mangiarotti con Andrea Gallina
CREMONA - Un’impresa in cui è racchiusa una testimonianza di conquista dei propri sogni di alto livello agonistico nella possibile convivenza tra sport e diabete. Marco Mangiarotti, 49 anni, atleta con diabete di tipo 1 da 25 anni, è fresco di traguardo ottenuto al Mondiale Ironman di triathlon alle Hawaii. Il cremonese è testimonial già da diverso tempo proprio di come possa esserci espressione di un importante percorso atletico anche per uno sportivo diabetico.
Ottenuta la qualificazione al Mondiale nell’Ironman di Klagenfurt in Austria, arrivando tra i primi di categoria, per Mangiarotti è stato di assoluto prestigio l’avere portato a termine le tre distanze nella sfida di Kona, gara che è considerata l’apice della carriera per chi ama lo sport che unisce nuoto, bicicletta e corsa. Una prova molto dura, in condizione difficili, con caldo e forte vento, che si sviluppa su una frazione in acqua di 3,8 chilometri, un percorso in bicicletta di 180 chilometri e una maratona come ultima frazione.
«È stata una giornata – ha spiegato – che resterà indelebile per tutta la vita. Si è confermata una gara durissima, non mi è mancato qualche problema allo stomaco, che non mi ha permesso di esprimermi per come mi ero preparato, ma con determinazione sono riuscito a portarla a termine. Ho imparato che a Kona non conta il cronometro, ma arrivare sino in fondo e conoscere i propri limiti».
Di un traguardo già di per sé straordinario come la chiusura di un Mondiale Ironman, 10h47’41” il suo riscontro cronometrico, il risultato del cremonese ha avuto appunto ulteriore rilevanza con il messaggio che ne è racchiuso. Una testimonianza di come sia possibile raggiungere traguardi di alto livello in convivenza con il diabete di tipo 1, che richiede una gestione costante dei livelli di zucchero nel sangue, in particolare durante sforzi fisici estremi come quelli per un Ironman.
«Per un atleta con diabete di tipo 1 – ha spiegato l’atleta cremonese - la gestione del glucosio nel sangue durante eventi così lunghi è fondamentale, con il mantenimento dei livelli di zucchero stabili durante le tre frazioni, per evitare effetti di ipo o iperglicemia. Oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante: con l’aiuto della pompa di insulina e del sensore glicemico è possibile monitorare e gestire costantemente i livelli di glucosio, anche in condizioni limite come quelle della gara di Kona».
Il cremonese è già stato in passato protagonista con la sua esperienza diretta di sportivo in diverse attività di sensibilizzazione sul tema: «Siamo sempre più atleti con diabete che provano ad alzare l’asticella per dimostrare che per noi non è un limite. Non sono il primo triatleta diabetico tipo 1 a terminare la gara Kona, credo di essere il secondo italiano a riuscirci e comunque uno dei pochi al mondo: ciò che conta, però, è che saremo sempre di più, perché ormai la strada è aperta ed è chiaro che seppure affetti da diabete tipo 1, si può affrontare qualunque sfida».
La soddisfazione di essere riuscito a conquistare il titolo di «finisher» del Mondiale di Kona è stata immensa: «Quando 15 anni fa ho cominciato con i miei primi triathlon sprint, non avevo certo idea che sarei arrivato sin qui. Per me tagliare quel traguardo ha significato raggiungere l’apice di un percorso che oggi mi sembra a dire poco incredibile».
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