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BASKET. LA STORIA

Begnis: fino all’ultimo fischio

L’arbitro cremasco (tra i migliori di sempre in serie A) ha chiuso la carriera dopo 24 anni di attività. «È stato molto emozionante il tributo di giocatori e pubblico nell’ultima gara al palazzetto di Trento»

Matteo Ferrari

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25 Giugno 2024 - 05:25

Begnis: fino all’ultimo fischio

CREMA - Se il coach della nazionale chiama un timeout inutile a 54” dal termine della prima amichevole che condurrà gli azzurri al Preolimpico in Porto Rico – vittoria 79-68 sulla Georgia davanti ai 4.000 del PalaTrento – solo per farti abbracciare da tutta la squadra e omaggiare il tuo ritiro, allora significa che hai fatto qualcosa di buono, di molto buono. È quello che è successo domenica sera a Roberto ‘Bobo’ Begnis, arbitro cremasco che dopo 24 anni di onoratissima carriera ha appeso il fischietto al chiodo e ha ricevuto la standing ovation del pubblico oltre che il sincero abbraccio di coach Pozzecco e degli azzurri, da capitan Melli in giù.

Partiamo dall’epilogo. Si immaginava un congedo di questo tenore e che emozioni ha provato in quell’ultimo giro di lancette?
«È stata una serata pazzesca, di emozioni uniche che resteranno per sempre nel mio cuore. Essendo la mia ultima partita immaginavo e sapevo che qualcosa di organizzato ci fosse e l’omaggio del segretario generale della Federazione e del presidente Aiap mi hanno davvero commosso, ma quello che hanno architettato Pozzecco e ragazzi è stato altamente emozionante. Un gesto totalmente inaspettato e per questo ancor più spontaneo e commovente che credo non fosse solo per me ma fosse una sorta di tributo alla categoria di arbitri e ufficiali di campo, compagni di viaggio di giocatori e allenatore in questo meraviglioso mondo che è la pallacanestro».

Una carriera infinita quella dell’arbitro cremasco che ha arbitrato 19 finali scudetto, 4 finali di Coppa Italia, miglior arbitro della serie A nel 2013, è stato presidente dell’Associazione Italiana Arbitri di Pallacanestro e volto sorridente – non solo a scopo pubblicitario – della campagna ‘Io Arbitro’ promossa dalla stessa associazione.

Dov’è nata la passione per l’arbitraggio e quando è diventata un lavoro?
«Nasco con i geni della pallacanestro da un padre allenatore e una madre cestista anche se la fenomena della famiglia è mia sorella Elena, ufficiale di campo che ha fatto Final Four di Eurolega in serie. Tento, senza particolare successo, di giocare a basket e allora, da appassionatissimo, provo a fare il Corso Regionale per allenatori e arbitri. L’obiettivo, ovviamente, era seguire le orme di papà ma per ottenere il patentino serviva obbligatoriamente arbitrare quaranta partite e in quelle partite qualcuno ha pensato fossi bravino. Così ho proseguito col fischietto al collo e anno dopo anno, ho sempre fatto una promozione sino alla serie A, arrivata nel lontano 1999».

Il primo fischio in serie A?
«Non ricordo, ricordo che era una partita a Montecatini. Sarà stato una rimessa laterale, per entrare in punta dei piedi».

Allenatore e giocatore più facile e più difficile da arbitrare?
«Fare nomi vorrebbe dire lasciar fuori qualcuno, specie nella prima categoria, quindi non voglio davvero fare un nome piuttosto che un altro. Posso semplicemente dire che a differenza di ciò che si pensi, in campo ho riscontrato molti più episodi di sportività, solidarietà e disponibilità che di acredine. Chiaro che col passare degli anni si familiarizzi e dunque possa essere anche più facile stringere dei rapporti di rispetto reciproco che aiutano la relazione in campo ma davvero, nel mio album dei ricordi c’è poco spazio per dei brutti episodi».

Ventiquattro anni nello sport sono un margine temporale ampio. Com’è cambiato il basket e com’è cambiato l’arbitraggio nel corso della sua carriera?
«Da amante della pallacanestro posso dire di essere stato spettatore privilegiato di una evoluzione pazzesca. Il gioco è mutato di pari passo con l’escalation fisica degli atleti che lo praticano e che considero sempre i migliori dello sport in generale. Chiaro che l’evoluzione fisica comporti una ascesa esponenziale della difficoltà per l’arbitraggio. Pensate a cosa fanno questi energumeni di oltre due metri, che pesano oltre cento chili ma che corrono i trenta metri di campo in un amen, hanno uno stacco e una potenza pazzeschi e magari mani di fata. Sono stato molto fortunato a vivere la direzione arbitrale a tre a vedere l’ingresso degli ausili tecnologici che, ricordiamolo, non servono ad aiutare l’arbitro, servono ad aiutare il gioco, ovvero la stella polare di ogni protagonista del match».

La partita che vorrebbe non aver mai arbitrato e quella della quale va maggiormente fiero?
«No, anche in questo caso non ho una partita più di un’altra. È ovvio che sarebbe scontato e banale dire che le finali scudetto, le gare sette o le finali di Coppa Italia siano partite particolari. Ma in realtà ricordo nitidamente anche ogni partita che metteva in palio permanenza o condannava alla retrocessione perché in quelle, forse ancor più che nelle finali scudetto, si avvertiva una tensione particolare. La serie A, ovviamente, ha una magia particolare ma in realtà non dimentico gli anni prima di approdare nel massimo campionato, non dimentico di essere stato uno di quelli che definisco eroi delle minors, il venerdì sera, alle 21.30, magari in una palestra senza riscaldamento. Fa tutto parte di un viaggio meraviglioso che mi sono goduto in ogni singolo fischio».

Oltre ad essere arbitro è un amante del gioco. Come vede l’Italia in vista del Preolimpico?
«L’ho vista davvero bene perché l’ho vista squadra. Mi è sembrato di vedere nel gruppo la voglia e la disponibilità che servono per fare bene in questo sport. Lo vedi dalla voglia di muovere i piedi in difesa, da come ognuno si sia calato nella parte. Il gruppo è consolidato e si vede, credo abbia indossato l’abito che serve per queste occasioni. Il percorso non è facile, tutt’altro, ma sappiamo che i ragazzi hanno risorse tecniche ed umane importanti».

Cosa farà adesso?
«Prima di tutto sacrosante e meritate vacanze. Detto questo, da un paio d’anni sono nel comitato tecnico della LegA2 e partecipo alla formazione degli arbitri. Un ruolo che mi piace e che penso potrebbe starmi bene addosso. Ora lasciamo che la stagione finisca per tutti e poi se arriverà una proposta di questo tipo credo potrà essere la direzione giusta per me, avendola già sperimentata».

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