L'ANALISI
24 Novembre 2022 - 08:32
Lo storico allenatore Nick Cabrini e l’attuale coach Alessandro Crotti
PERSICO DOSIMO -Mai dire a una signora che dimostra più anni di quelli che ha, ma nel caso della Juvi non serve proprio fingere. Perché quella maglia, anzi quelle maglie, quei colori, fanno sembrare la Juvi una ragazzina che settant’anni proprio non li dimostra. E fare festa è il giusto modo per centrare l’obiettivo. Nell’anno della prima serie A della storia, nell’anno dei primi giocatori americani. Il destino non poteva scegliere anno migliore per un numero così rotondo ed è stato giusto festeggiarlo come si deve.
E al Ralais Convento di Persico è stato tutto perfetto. Al di là della bellissima location addobbata di oroamaranto come una bomboniera. I fasci di luce dal basso all’alto con i colori della società, le maglie appese una accanto all’altra. E in settant’anni ne sono cambiate di cose, dal materiale delle canotte agli sponsor, oggetti che trasudano una storia che nessuno può contestare. In così tanti anni ci sono stati momenti belli ma anche brutti e tante volte questo marchio è restato appeso a un filo ma su quel mucchio di cenere la famiglia Ferraroni ha saputo soffiare nel modo giusto facendo crepitare di nuovo un fuoco meraviglioso.
Ieri sera nella campagna cremonese c’erano tanti pezzi di storia e non solo attaccati al muro... Tanti giocatori, allenatori, dirigenti. Perché la Juvi è partita da San Luca in quel 1952 e negli anni ha toccato il cuore di tantissime generazioni e non è un modo di dire. Lo si è visto negli occhi di chi si è riabbracciato dopo tanti anni, nei sorrisi di chi ha rivisto compagni imbiancati, ingrassati e per un paio d’ore sono tornati quelli di sempre. Quelli della palestra Spettacolo, del PalaBosco, del PalaRadi, quelli della Juvi insomma una vera e propria tribù e un’appartenenza che nessuno è riuscito a dimenticare indelebile come un tatuaggio.
La commozione di Alessandra Radi, figlia di Mario fondatore in quel 1952 della società, è stata una delle parti più belle della serata. In piedi, in un angolo, quasi per non disturbare ma a osservare quella magnifica creatura del papà, che forse non immaginava nemmeno potesse diventare così grande in quel lontano 1952.
Le emozioni sono state il filo conduttore della serata che il giornalista di Sky Sport Fabio Tavelli e il commentatore tv ed ex giocatore Riccardo Pittis hanno cadenzato.
Quasi duecento persone hanno assistito con qualche sussulto al docufilm di Lucilla Granata (riprese di Luca Catullo) che ha ripercorso in mezz’ora la vita della Juvi. Dagli albori di San Luca fino all’ultima gara in serie A2. Uno scorrere di immagini intervallate da interviste di personaggi che hanno segnato la storia di questo sodalizio. Con la sorpresa finale di un documento rarissimo con un discorso proprio del fondatore Mario Radi.
Giocatori vecchi e nuovi hanno scoperto pieghe nuove, diverse. Le parole dei quattro Ferraroni sono state come sempre poche ma ben misurate. Maurizio, il fratello Ettore e i cugini Ettore Carlo ed Enrico hanno fatto capire cosa sia la Juvi facendosi solo da portatori di un virtuale testimone. Perchè la Juvi non ha padroni, non ha sponsor, è un bene della città.
«E ne siamo orgogliosi che questa società venga ricordata come Juvi». Queste le parole di Maurizio Ferraroni, pronunciate quasi sottovoce ma che hanno fatto un rumore fragoroso. Alla fine rinfresco per tutti per riunire ancora una volta quei vecchi compagni. Perché uno juvino lo è per sempre.
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