CALCIO
08 Maggio 2022 - 12:01
L'abbraccio tra Fabio Pecchia e Nicolò Fagioli
CREMONA - È passato più di un quarto di secolo dall’ultima volta. Molti dei trentenni o giù di lì che erano allo stadio o in piazza l’altra notte, mai avevano provato una cosa del genere e mai avrebbero immaginato fino a qualche tempo fa che le storie dei loro fratelli più grandi erano tutte così vere. I tempi andati sono stati bei tempi, l’importante è averli vissuti. Devono averlo pensato in tanti in mezzo alla piazza, davanti al duomo.
L’ultima volta era il 1993, l’anno di Simoni e di Tentoni. La Cremonese era reduce da un decennio di gloria, con continui avanti e indietro tra serie A e serie B. Ma quella volta si era capito subito che c’era qualcosa di nuovo. Turci, Verdelli, Colonnese, Nicolini, Tentoni e Dezotti. Uno spettacolo. Si giocava sempre e solo la domenica. Il sabato l’allenamento di rifinitura andava in scena nel campetto dietro la curva sud, con la gente accalcata dietro le ringhiere. Tanti di loro hanno passato la notte tra venerdì e sabato ad aspettare il pullman dei grigiorossi, chissà quante volte hanno rievocato quei giorni ai loro figli, ai loro nipoti, compresa quella volta che lo Zini si emozionò per una discesa di Tentoni contro il Bari, un coast to coast che proiettava la Cremonese verso un nuovo ciclo, verso sogni a cui non si era più abituati.
Era cominciato tutto con Mondonico, che da allenatore aveva copiato la grinta da Cesini. Era il 1983. L’anno della trasferta a Varese, cento pullman che viaggiavano verso la festa. Bastava vincere, finì con un pari e si andò a Roma, agli spareggi con il Como e il Catania. La Capitale sembrava dall’altra parte del mondo. Non andò bene, ma fu solo l’inizio. L’anno dopo arrivò la prima promozione in serie A, «prima» nel senso del campionato moderno, a girone unico. In certi bar c’è ancora appesa la foto di quella squadra e di quella stagione, l’ultima di Vialli in grigiorosso, la prima di una epopea che parla ancora a tanti cuori. Fu l’anno dello scudetto del Verona, allo Zini arrivarono i più grandi campioni, Platini, Paolo Rossi, Maradona. Si andava in massa allo stadio, anche tre-quattro ore prima della partita, per vedere quel che non si era mai visto. Ci fu anche la domenica disgraziata a S. Siro, contro il Milan, sessantamila spettatori, terza di campionato. La domenica prima, allo Zini, la Cremonese aveva sconfitto il Torino di Junior e Serena, sotto gli occhi di Craxi, tifoso granata, arrivato a Cremona per la Fiera del Bovino. Poi, appunto il Milan. L’eurogol di Nicoletti, la doppietta di Hateley. Peccato, si disse, era stato bello lo stesso. Almeno fino alle 8 di sera, quando il Tg annunciò che un tifoso della Cremonese era stato accoltellato fuori da S. Siro. Era Marco Fonghessi da Castelleone, tifosi della Cremonese e più ancora del Milan. Ai suoi funerali venne anche Rivera. Tra poco saranno 40 anni dalla sua morte. La Cremonese giocava bene, fin troppo. Tornare in B non fu una tragedia, c’era già Erminio Favalli che sapeva sempre cosa fare.
E infatti, dopo un paio di anni e dopo una altro spareggio andato male (1987, l’anno del ko col Pisa di Simoni in casa), la Cremonese di Mazzia si regalò un’altra storica promozione. Era il 1989, l’anno della caduta del muro. Una squadra da perdere la testa: davanti giocava con Lombardo, Bivi, Cinello e Chiorri. Il 25 giugno, spareggio contro la Reggina, a Pescara. Da Cremona duemila tifosi, da Reggio Calabria (e dintorni) 30 mila. L’ultimo rigore, quello di Lombardo, entrò nella sigla del Tg2. Si cominciò la serie A contro l’Inter campione d’Italia. In panchina era arrivato Burgnich. A S. Siro finì 2 a 1 per la squadra del Trap, mezza Cremonese espulsa da Fabbricatore (aiuto!) per un rigore regalato. Non ci fu gloria, ma il gol di Dezotti a Zenga e alcune giocate di Limpar non si dimenticarono più.
Cominciò male ma finì benissimo l’anno dopo, con Giagnoni che subentrò a Burgnich e con la Cremonese che si riprese il suo posto in serie A per riperderlo dopo un giro. Non fu comunque un anno banale: giocava gente come Maspero e Rampulla e poi i tre ragazzi d’oro: Bonomi, Favalli, Marcolin. Luzzara li cedette alla Lazio per quasi 10 miliardi di lire e fece l’affare del secolo. E il bello doveva ancora venire, perché quell’estate Favalli chiamò Simoni, finito ai margini del calcio. Era l’estate del 1992, quella delle stragi di Capaci e via D’Amelio, 30 anni fa. E si tornò subito in A, passando per Wembley, in un mondo che cominciava a cambiare. Spuntavano anche i primi posticipi, di lì a poco anche i tre punti a vittoria, stavano per arrivare i telefonini e tutta la tecnologia annessa. E la Cremonese dopo tre stagioni di gloria in A, imboccava il viale del tramonto. Fino al giorno in cui Giovanni Arvedi decise che era tempo di occuparsi dei grigiorossi. 2007: cominciò un’altra storia, passata attraverso una promozione in B troppo attesa e altrettanto meritata, in una stagione sofferta, carica di emozioni e di contenuti. Come quando, a 6 punti dalla vetta, a pochi turni dalla fine, prima del match di Siena Arvedi raggiunse la squadra dopo l’ultimo allenamento per spronare tutti i giocatori, uno a uno: «Diamo tutto fino all’ultimo, crediamoci».
Il coro che si levò negli spogliatoi a Siena, a fine partita, dopo la vittoria della Cremonese che aveva dimezzato il distacco sull’Alessandria, resta uno dei momenti più toccanti di quella primavera, un insegnamento a non arrendersi mai.
Questa è la storia, il resto è la cronaca di questi anni, di queste ore, di questa Cremonese: piedi per terra, testa in alto.
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Direttore responsabile: Marco Bencivenga