L'ANALISI
OGGI A CREMONA IL BIKE TOUR
30 Settembre 2021 - 06:05
Matteo Marzotto al centro del gruppo del Bike Tour a sostegno della ricerca sulla fibrosi cistica
CREMONA - Ha la forza di un gigante, Fabrizio Macchi, campione di paraciclismo che oggi pomeriggio sarà a Cremona insieme agli altri testimonial d’eccezione del Bike Tour: da Matteo Marzotto a Yuri Chechi, passando per Alessandra Sensini, Max Lelli e Davide Cassani.
Fabrizio Macchi con Matteo Marzotto
Macchi, sarà un tour in bicicletta per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla fibrosi cistica, ma anche per sostenere la ricerca...
«Sì, è un progetto molto interessante ideato dal presidente Matteo Marzotto. Siamo al nono anno del Bike Tour, una pedalata importante a favore della ricerca: ogni colpo di pedale, ogni respiro, serve per aiutare le persone affette da questa malattia. E serve il supporto di tutti per regalare un respiro ai malati».
Come mai Cremona è stata inserita nel circuito?
«Ogni anno viene scelto un percorso diverso, abbiamo già girato tutta Italia. Quest’anno partiamo da Padova e arriviamo a Rimini, in mezzo c’è anche la tappa cremonese: qui c’è un gruppo della Fondazione fibrosi cistica molto attivo, per questo ci fermiamo».
Oltre a Marzotto, altre persone e aziende sostengono la Fondazione fibrosi cistica?
«Sì, tantissime. Ma bisogna fare ancora di più, perché per sconfiggere una malattia di questo tipo servono risorse, ricercatori, mezzi per fare ogni giorno un passo in più e arrivare all’obiettivo: battere la fibrosi cistica».
Chi volesse sostenere concretamente l’iniziativa, come può fare?
«Basta andare sul sito della Fondazione fibrosi cistica. Lì si trovano tutte le informazioni per una donazione o anche per venire a pedalare con noi fino a sabato. Chiunque può aggregarsi al Bike tour, ad ogni tappa. Ci sono orari di partenza, piazze toccate. E chi si aggiunge ci aiuta a pedalare in modo più leggero».
Alcuni disabili sostengono che non bisogna aver paura di far vedere la malattia, perché solo vedendola gli altri possono capire cosa si prova e gli sforzi che un disabile deve compiere per andare avanti. è d’accordo?
«La vita di una persona affetta da disabilità o malattie debilitanti è davvero complicata, dalla mattina alla sera, ma spesso basta una pacca sulla spalla e un piccolo sostegno per permettere a queste persone di farcela da sole. Quel che serve, poi, è aiuto economico e umano per trovare medicine e cura giusta».
Un tempo, in seguito ad una disabilità fisica quasi si arrivava a chiudersi in casa. Oggi fortunatamente si è capito che è necessario far sentire la vicinanza a chi ha un problema in più.
«Esatto. Disabile significa non essere abile a fare qualcosa, ma io sfido chiunque ad essere abili a fare tutto. Quindi, tutti siamo disabili in qualcosa nella vita. Ovvio che è una parola molto ampia, ma i limiti stanno nella testa e non nel fisico: se uno vuole, può davvero fare tutto».
A lei hanno amputato una gamba. Come lo vive: feriscono più le difficoltà oggettive o gli sguardi delle persone?
«È una domanda complicata. E lo è anche la risposta. Quando mi hanno amputato la gamba, a causa di un tumore, sono tornato a Varese dove sono nato e mi trattavano come una sorta di mostriciattolo verde sceso da Marte. Mi dicevano sempre ‘Poverino, cosa è successo?’. Io però non mi sono mai sentito ‘poverino’. Ho sempre desiderato riprendermi la mia vita e vivere di sport come avevo sognato. Quindi sì, l’ipocrisia delle persone fa male, ma bisogna guardare avanti, dritto, centrare i propri obiettivi».
Le Paraolimpiadi di quest’anno sono state importanti...
«A dire il vero è da un po’ di anni che gli atleti paralimpici sono in primo piano. E quest’anno ancora di più. Io credo che bisognerebbe considerare gli atleti paralimpici nello stesso modo degli altri, allo stesso livello. Non vedo grandi differenze».
Spesso gli atleti paralimpici vengono definiti «eroi»: è una definizione che vi calza o che vi fa innervosire?
«Eroi sono tutti quelli che nel mondo, nella vita, fanno qualcosa di speciale. Indipendentemente dal fatto che siano senza braccio o senza gamba, ma semplicemente perché centrano un obiettivo importante. Quindi, come viene definito eroe un atleta olimpico, i medici che hanno salvato vite e lottato ad esempio contro il Covid, o ancora le forze armate, lo può essere anche un atleta paralimpico. Un atleta che vince una medaglia».
Fra i testimonial delle discipline paralimpiche ci sono, fra altri, Alex Zanardi e Bebe Vio: sono modelli? Vi sentite rappresentati?
«L’aspetto più importante, fondamentale, è che se ne parli. Se c’è chi spicca più di altri, ben venga. La cosa fondamentale è riuscire a comunicare un messaggio: che le cose si possono fare e che non ci sono limiti».
E di cose lei ne ha fatte, portando a casa tante medaglie...
«È da tanto tempo che non faccio l’atleta, ma ho partecipato anch’io a tre Paraolimpiadi, vincendo una medaglia ad Atene e poi 15 mondiali. Ho già dato. Oggi sono un vecchio 50enne che con Matteo Marzotto e altri amici cerca di portare un po’ di sorriso ai malati di fibrosi cistica. Cercando anche di arrivare ad una soluzione per guarire da questa malattia terribile».
Come riesce a pedalare con una gamba sola?
«Come con due. Solo che ne uso una... Ho una bicicletta normalissima, spingo e tiro. E la parte posteriore della gamba funge come quadricipite della gamba dell’altra».
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