L'ANALISI
03 Marzo 2023 - 05:10
CREMONA - Uno sguardo alla porta, alla curva Sud e poi la rincorsa. Un calcio di rigore si vive in apnea, che sia nel campionato Csi, che sia in serie A. Il respiro torna solamente quando la palla tocca la rete. È un rapporto intimo tra il tiratore, il pallone e il portiere. Poi, una frazione di secondo dopo, tutto cambia e anche il peso della realizzazione (o dell’errore) diventa più congruo alla categoria. Undici metri dal dischetto alla porta ma per Daniel Ciofani erano come 298, tanti quanti erano i giorni passati dall’ultima vittoria in campionato della Cremonese. Roma battuta, la fiammella della speranza salvezza tenuta viva, una città liberata dalle tenebre grazie al capitano.
Al triplice fischio abbiamo visto tutti quanti voi calciatori in ginocchio.
«È stata una liberazione vera e propria. Nostra, dei tifosi, della città. Un misto di felicità e cattiveria. Ci siamo meritati questo successo, dopo averne sfiorati diversi. Ne avevamo bisogno sia mentalmente che fisicamente. La fine di un incubo».
Suo il calcio di rigore decisivo. Abbiamo visto una sorta di confronto con Okereke prima di decidere l’autore del tiro.
«David a Bologna mi aveva chiesto di poter calciare e sono stato felice di vederlo realizzare. Questa volta è venuto da me con il pallone e mi ha detto ‘te lo meriti tu’. Un bel gesto».
Calciare un rigore non è così semplice come sembra. Per altro lei a Cremona non è stato fortunatissimo... Ha un metodo?
«Ho cambiato con il tempo il modo di calciare. Prima mi ero specializzato su un lato e ho sempre avuto una percentuale altissima di realizzazione. Poi i tempi sono cambiati, i portieri hanno studiato ogni dettaglio e quindi ho dovuto rivedere il tutto. Anche noi rigoristi osserviamo i video dei portieri e ci studiamo movimenti e percentuali. Diverse volte ho calciato centrale. Dipende, non ho un metodo preciso. Anche il fatto emotivo incide».
Contro la Roma che scelta ha fatto?
«Mi sono concentrato sul calciare bene tecnicamente. Volevo un tiro angolato, potente ma rasoterra. In quel caso anche se il portiere intuisce difficilmente riesce a toccare la palla».
Per la prima volta vi siete allenati dopo una vittoria. Sensazioni?
«Si lavora nello stesso modo, ma tutti i movimenti sembrano più oleati. C’è entusiasmo e si affrontano anche gli esercizi più pesanti con il sorriso. Le sconfitte demoralizzano, quando lavori bene come noi e non porti a casa risultati fa male».
Lei 37 anni, suo fratello Matteo che gioca nella Triestina ne ha 35. Quando sparirà l’iniziale del nome sulla maglia?
«Mai. A prescindere da chi deciderà di chiudere prima la carriera. È una promessa che ci siamo fatti da bambini. Quando eravamo in casa giocavamo alla PlayStation a Fifa e creavamo i nostri avatar con Ciofani e l’iniziale del nome sulla maglia. Ci siamo detti che se avessimo fatto carriera lo avremmo sempre utilizzato. Una volta i nomi sulle spalle andavano solo ai calciatori di serie A, ora si arriva fino alla serie C, ma la D e la M dopo il cognome Ciofani non sparirà mai. Come quando eravamo bambini e ci sfidavamo davanti alla tv».
Il suo gol alla Roma non avrà fatto felici tutti quanti in casa...
«Vi riferite a mia moglie nata nella capitale? Lei era contenta per me e per la Cremo. Un po’ meno suo fratello sfegatato tifoso giallorosso che alla sera mi ha mandato un messaggio che era un misto tra complimenti e insulti» scherza Daniel.
Come vive il suo nuovo ruolo da subentrante di qualità?
«Con l’arrivo di mister Ballardini ho giocato diverse gare da titolare, altre entrando dalla panchina. Per me non cambia molto, mi preparo sempre duramente per poter dare il mio contributo. Certo, in 10’ non è facile. Ma sono sicuro che un’occasione mi possa capitare sempre. Bisogna essere pronti. Ho il giusto atteggiamento mentale, quando mi chiamano io rispondo dando tutto quello che posso».
Quanti gol pensava di fare e quanti crede di fare a fine stagione?
«Non ho un’idea precisa. Spero solo di fare gol decisivi, tutto qua. A Frosinone in serie A avevo fatto cinque gol: tre sono valsi 9 punti, gli altri due (insieme) per un pareggio. La cosa più bella è pesare i gol, lo dico per la squadra. Faccio un esempio, Simy con il Crotone qualche anno fa ha segnato 20 reti in serie A ma poche sono servire a fare punti. Certo, è una soddisfazione personale ma la festa la si fa tutti insieme alla fine dell’anno, la gloria personale è più effimera».
Il calciatore più forte della serie A?
«Nell’ottica di quello che dicevo prima ne cito tre che sono i più decisivi: Giroud del Milan, Di Maria della Juventus e Osimhen del Napoli. Questi mi fanno impazzire».
Poco tempo fa Jankto ha dichiarato la sua omosessualità. Uno dei pochi calciatori a fare coming out. Cosa ne pensa?
«Ha avuto coraggio. Il nostro è un mondo particolare fatto purtroppo di tanta apparenza. Spero che possa servire da sprone anche per altri che possano vivere il loro orientamento con la massima naturalezza. È normale che ci siano omosessuali nel nostro settore, non ci vedo nulla di male. Però non so quanti siano pronti a dichiararsi o semplicemente vogliano farlo».
A 37 anni è un calciatore esperto, ma non si sente vecchio. Mai accennato qualcosa sul futuro con la società?
«Non lo abbiamo fatto. Non è il momento di parlarne in questo momento. Posso dire che sto bene e che vorrei giocare almeno altri due anni ad alto livello».
Chi vincerà la Champions?
«Io con i pronostici non ci prendo mai, lo sapete benissimo. Dico Manchester City, ora speriamo non escano subito...».
E con il padel come va la sua avventura da imprenditore con Padel X?
«Io mi occupo dello shop, è un universo... Siamo contenti. L’inizio è incoraggiate, possiamo fare meglio ma come ogni attività che ha appena iniziato a muoversi è da mettere in conto un po’ di rodaggio. Mettere insieme dieci soci non è semplice, ma fino a questo momento c’è grande armonia. È una bella avventura in uno sport che sta facendo impazzire tutti quanti ormai».
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