L'ANALISI
14 Luglio 2018 - 07:00
Proprio capitale di un Impero, la nostra città, non fu mai, ma — in un certo periodo — essa ne rivestì, più o meno, le funzioni; se non altro, ospitò una Corte, uno Stato Maggiore, dei funzionari politici ed amministrativi, nonché un bello stuolo di cavalieri e dame, di poeti e di guerrieri, di giuristi e di astrologi Ciò avvenne poco prima della metà del Duecento, la Corte fu quella di Federico II di Svevia, se di Germania, di Sicilia, di Gerusalemme e Sacro (quantunque più volte scomunicato) Romano Imperatore; suo e del figlio Enzo e dei vari congiunti, più o meno legittimi, e dei vari vassalli, più o meno fedeli, lo Stato Maggiore, e Taddeo di Suessa e Pier, della Vigna si chiamarono i Ministri, entrambi votati a tragica e diversa fine; la poesia nasceva dal cuore e dal canto di Federico, di Enzo, di Piero e di qualche altro notaro come lui venuto dalle terre del Sud, ispirata — forse — dalle belle donne che non dovevano certo mancare attorno a quegli Svevi che avevano riscaldato il loro sangue al sole mediterraneo e che vanamente avrebbero cercato con la fecondità di una discendenza di contrastare l'implacabilità d'un avverso fato, deciso a sterminarne, di li a poco, anche il seme.
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