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16 novembre 1960
La campagna di Tunisia - Gli italiani primi a Biserta
SONCINO, 15. — Dicono che dal «mal d'Africa» non si guarisce più. Io in Africa ci sono stato per diversi anni ma il morbo non mi ha contagiato. Sarà perché il «continente nero» l'ho conosciuto nella provvisorietà di una campagna di guerra con tutti i disagi, i rischi ed i sacrifici inerenti; sarà perché i particolari profumi della flora e della fauna di quell'esotica terra non hanno esercitato su di me fascino alcuno: resta però la constatazione che non sento proprio alcun desiderio di attraversare ancora una volta il canale di Sicilia per rivedere i minareti, i «sidi», le «mambruke» e le foreste d'Africa. Ho però nella memoria dei ricordi incancellabili che. alle volte, o per concomitanze calendariali o per riverberi letterari, tornano a farsi vivi con una nitidezza sorprendente. La cosa si sta verificando anche oggi, un po' perché è appena trascorso il 14 novembre (anniversario del mio sbarco in Africa) ed un po' perché sto leggendo il libro scritto dal maresciallo Messe sull'armata di Tunisia.
Il libro di Messe mi interessa per la sua documentata concisione ed anche perché descrive degli avvenimenti ai quali ho preso parte; devo però precisare che esso contiene un errore. Il maresciallo Messe sostiene infatti che, il 14 novembre del 1942, furono i soldati tedeschi a sbarcare a Biserta. L'annotazione è sbagliata ed io mi sento pienamente in grado di rettificarla: furono infatti i bersaglieri del X Reggimento a porre per primi il piede in quella che doveva diventare la più martoriata città della Africa settentrionale. A testimoni della mia asserzione posso chiamare una trentina di altri bersaglieri cremonesi che con me (allora sergentino di vent'anni) sbarcarono sui moli di Biserta in quel piovoso pomeriggio d'autunno: il volto ed il nome di molti di essi sono purtroppo appannati nella mia memoria; posso però citare il capitano Viviani (di città, ed ora a Palermo come dirigente di una azienda petrolifera americana), il sottotenente Mangino (pure di città, ma di cui ho perso le tracce), il sergente Rozzi (un maestro di Pizzighettone che fa l'impiegato all'ACI di Brescia), il sergente Cremaschi (maestro a Scandolara Ripa d'Oglio), il sergente Guerrini Rocco (ragioniere a Crema) ed il bersagliere Ranzenigo (di Bordolano, ma attualmente ad Orzivecchi).
La nostra non fu certamente un'impresa eccezionale. Pochi giorni prima gli americani erano sbarcati a Casablanca. Orano, Algeri e Bona ed i nostri comandi, per parare la grave minaccia, avevano dovuto provvedere con carattere d'urgenza, occupando la Tunisia con quello che di meno peggio potevano disporre. Fu così che si rivolsero al X Bersaglieri che a Paternò, alle falde dell'Etna, stava preparandosi per andare in Russia. In una notte (quella tra il 12 ed il 13 novembre) versammo il corredo «tipo-steppa» (pastrani e guardi foderati con pelle di pecora, passamontagne e via dicendo) e riprendemmo le vostre vecchie divise grigioverdi. Il nostro armamento era quello che era. Nessuno di noi aveva mai «provato» uno sbarco e solo pochissimi erano in precedenza stati su di una nave. Ci portammo a Palermo, dove arrivammo nella notte tra il 13 ed il 14, bagnati fradici (avevamo fatto il viaggio su degli autocarri «Spa 38» privi di telone di copertura). La mattina successiva, dopo aver trascorso la notte all'addiaccio nel cortile della «caserma-madre» del X Bersaglieri, ci portarono al porto dove ci imbarcammo su quattro cacciatorpediniere (io mi trovavo sull'Alfredo Oriani) che, dopo sei ore di navigazione non turbata da alcun avvenimento, giunsero in vista di Biserta. Le batterie delle navi spararono alcune bordate sui forti che punteggiavano l'anfiteatro collinoso a sud della città e, visto che nessuno si sognava di rispondere al fuoco, i nostri comandi decisero lo sbarco. Il primo cacciatorpediniere ad accostare al molo fu l'Oriani: fui così tra i primi ad operare quello «sbarco di Biserta» di cui i nostri «bollettini dì guerra» parlarono per alcuni giorni.
15 Novembre 2019
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