L'ANALISI
ASST CREMONA
07 Luglio 2022 - 11:23
CREMONA - L’Asst di Cremona è tra i promotori di un nuovo modello cremonese per l’integrazione di servizi socio-sanitari a favore di migranti vulnerabili. Come spiega Franco Spinogatti (Direttore UOC Psichiatria 29 e del Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze), «Dall’analisi dei dati, si riscontra un numero in crescita di utenti migranti che accedono al nostro servizio, anche in regime di degenza (la proporzione è un paziente su cinque)». Un dato significativo che rivela un forte bisogno e la necessità che i servizi si dotino «di competenze e strumenti per affrontare l’eterogeneità culturale della nuova utenza. Non solo. Diviene fondamentale creare le condizioni per affrontare efficacemente le cause di nuovo disagio che è strettamente correlato alla storia di queste persone, al loro vissuto troppo spesso segnato da eventi traumatici».
Il progetto FAMI CA.RE nasce dalla collaborazione tra l’Asst di Cremona, il Comune di Cremona e il Consorzio Solco, è finanziato dal Ministero dell’Interno – con fondi europei - ed è rivolto ai migranti con fragilità e patologie psichiatriche. Oltre a Cremona, partecipano i Comuni di Mantova (capofila), Monza Brianza, Brescia e il Consorzio Mestieri Lombardia. La presentazione del progetto si è tenuta lo scorso 1 luglio 2022 presso il Civico 81 di via Bonomelli a Cremona, e ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Silvia Vesco (referente per l’area socio-sanitaria del Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione Onlus) e Sergio Zorzetto (psicologo e psicoterapeuta dell’U.F.C. Salute Mentale Adulti di Prato). Come sottolinea Spinogatti, «La forza del progetto è caratterizzata da un importante lavoro di rete e di integrazione fra le diverse parti (socio-sanitaria e pubblico-privato) sui temi della presa in carico di soggetti migranti con disagio psichico».
Il risultato più importante è la costituzione di una equipe di coordinamento (composta da enti pubblici, privati e con diverse professionalità) che proseguirà l’attività anche dopo la conclusione del progetto. Le azioni di “capacity building” messe in atto, hanno permesso di strutturare un modello organizzativo di intervento». Gli snodi organizzativi principali si basano su una cabina di regia condivisa, un gruppo tecnico e diversi nuclei operativi: «Dall’inizio della sperimentazione – aggiunge Spinogatti – accanto alla presa in carico di un numero considerevole di utenti con piani di trattamento individualizzati e un case manager dedicato, si sono realizzati importanti eventi formativi, con prospettive di estensione anche alla popolazione non migrante».
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