L'ANALISI
23 Dicembre 2025 - 14:21
CREMONA - Dalle lingue blu di Avatar al klingon di Star Trek, fino agli elfi e ai nani della Terra di Mezzo: ogni volta che il cinema o la letteratura costruiscono un mondo credibile, prima o poi devono dargli anche una lingua. Non è un dettaglio folkloristico, ma un gesto fondativo.
«Se vuoi raccontare davvero un mondo» — dice Davide Astori, docente di linguistica all’Università degli studi di Parma — «non puoi prescindere dall’inventare anche la sua lingua, altrimenti quel mondo non diventa reale».
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È da questa consapevolezza, insieme a un lavoro di studio lungo più di dieci anni, che nasce Che cos’è una lingua inventata, il volume pubblicato da Carocci nella collana delle Bussole.
Astori si occupa di lingue inventate «da un sacco di anni», tanto che nell’ateneo emiliano esiste un corso ufficiale di Interlinguistica dedicato proprio alla creatività linguistica, alla pianificazione e all’invenzione delle lingue.
«È un corso che viene dopo la linguistica generale» — spiega — «e serve a mostrare tutti gli ambiti in cui le lingue possono essere manipolate: dalla pianificazione linguistica fino all’invenzione vera e propria. Gli studenti si appassionano alle lingue inventate, è un modo per capire come nasce una lingua, quali sono i tasselli che la compongono. A questo serve l’interliguistica a fare esperienza concreta delle lingue naturali, partendo dalla necessità di inventarne di nuove».
Da qui l’idea del libro, maturata insieme all’editore, che ha intravisto in questo tema non solo un interesse accademico, ma anche un vero e proprio ‘mercato culturale’. Il volume si muove infatti su un doppio binario: divulgativo ma rigoroso, accessibile senza rinunciare alla complessità.

Astori ricostruisce innanzitutto la storia dell’invenzione linguistica, ricordando come già dal Seicento filosofi e scienziati — Cartesio compreso — si fossero interrogati sulla possibilità di creare lingue nuove, più chiare e razionali, capaci di aiutare il pensiero a essere «chiaro e distinto».
«C’è pieno di gente che da secoli si è messa a inventare lingue», osserva, e oggi ne contiamo centinaia, se non migliaia. Uno dei primi problemi, allora, è capire come classificarle e perché nascano.
Le motivazioni sono diverse: ci sono le lingue artistiche e narrative, come quelle di Tolkien — che, ricordava l’autore inglese, nacquero prima delle storie che avrebbero poi abitato — o quelle create per il cinema e le serie tv contemporanee; ci sono le lingue filosofiche; e c’è il grande filone delle lingue internazionali ausiliarie, come l’esperanto, pensate per favorire la comunicazione globale.
Nel libro Astori sceglie una decina di casi emblematici. Accanto all’esperanto, «che non poteva non esserci perché è la lingua inventata più viva e di maggior successo», compaiono esperimenti sorprendenti: il Solresol, una lingua musicale ottocentesca basata sulle note; il Toki Pona, che pretende di descrivere il mondo con poco più di 120 parole, seguendo l’idea che il senso si trovi nell’essenziale; o il latino sine flexione, una semplificazione del latino classico pensata per le scienze.
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Ma il cuore teorico del libro sta forse altrove: nell’idea che giocare con le lingue sia uno dei modi migliori per capirle davvero. «Smontare una lingua è come smontare un trenino» — dice Astori — «se poi sai anche rimontarlo, allora hai capito come funziona».
Le lingue, naturali o inventate, sono come un grande set di Lego: diverse in superficie, ma costruite con gli stessi pezzi profondi, perché «la logica del pensiero è una sola».
È anche per questo che alcuni studenti, dopo il corso, gli hanno confessato di aver compreso meglio la linguistica ‘classica’. Emblematico è il caso dell’esperanto. Non ha vinto come ‘lingua del mondo’, ma ha dimostrato qualcosa di forse più importante: è biologicamente corretto. «Oggi esistono bambini madrelingua esperanto — racconta Astori — persino di seconda e terza generazione». Famiglie che lo usano nella vita quotidiana mostrano che una lingua inventata può diventare naturale a tutti gli effetti.
E allo stesso tempo ricordano che una lingua unica globale non sarebbe necessariamente un bene: «Le lingue sono storie, culture, identità». Perderle significherebbe perdere il mondo.
Che cos’è una lingua inventata è dunque un libro che parla di mondi possibili, ma serve a capire meglio quello reale. Un invito a prendere sul serio il gioco linguistico, perché, come conclude Astori, «giocare con le lingue è molto divertente, ma è anche una cosa serissima: è il modo migliore per capire come sono fatte quelle vere».
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