L'ANALISI
16 Dicembre 2025 - 05:25
Il Natale è alle porte, accompagnato dalla consueta sequela infinita di addobbi, di piccoli rituali familiari, di alberi che spuntano nelle agorà dei soggiorni. E ovviamente di doni, enormi quantità di doni. Oggi vorrei approfondire una riflessione del filosofo catalano Joan-Carles Mèlich. Mèlich, spero mi si possa passare il termine, è il filosofo della fragilità. I suoi due volumi, ‘Essere fragili’ e ‘La fragilità del mondo’ (Il Saggiatore, 2024 e 2025), esplorano con coraggio e disinvoltura le crepe della metafisica e, in generale, si prendono la responsabilità di mettere a nudo i limiti della filosofia.
In che modo il Natale, in quanto festa e microcosmo di riti, figure dell’immaginario, tradizioni, si inserisce nella fragilità del mondo? Innanzitutto, proponendosi di evitare un’analisi puramente economica, che costringe il periodo natalizio all’ingrato ruolo di generatore di incassi, si cerca di dare valore alla funzione culturale del Natale, la quale consiste prettamente nell’avvicinamento. La funzione di catalizzatore delle relazioni umane è fortemente affidata al Natale dalla nostra società occidentale.
Rappresenta spesso una pausa, un momento in cui ci si ferma e si medita sulle relazioni umane, le quali, come spiega Mèlich, sono il nocciolo della nostra stessa esistenza. In ‘La fragilità del mondo’, Mèlich, con un’opera meticolosa, analizza tutti i sistemi di simboli attraverso cui l’essere umano cerca di dare un senso a questo mondo, scontrandosi con l’insormontabile barriera del non-senso.
In breve, nulla possiede un senso in sé e per sé, nulla è utile se non in relazione a qualcos’altro. Il valore stesso delle cose, degli obiettivi, persino degli status, è in pericolo quando posto come termine di paragone all’assurdità del mondo. E il Natale, con la sua spinta familiare, ricolloca la lente d’ingrandimento su ciò che realmente possiamo considerare come di valore: l’altro. L’altro non è solo il prossimo della comunione cristiana, lo straniero di Camus o l’alieno, l’apolide che non possiamo definire. L’altro è soprattutto il nostro legame con la realtà e con noi stessi in primis.
La qualità dei rapporti umani ha un effetto sulla qualità della vita, e in particolar modo sulla possibilità di vivere una vita felice, molto superiore rispetto alla ricchezza materiale o allo status di cui accennavo sopra. L’altro ce lo dimentichiamo facilmente, nella frenesia delle occupazioni giornaliere, delle scadenze, della fretta e dell’ansia, che sono due generatrici di vuoto, di mancanza dell’altro, particolarmente diffusi in questo momento. Il Natale riordina i pezzi sulla scacchiera, riavvicinandoli almeno per qualche giornata, con la speranza di fare di più, e non solo di ricaricare le pile per l’ennesimo anno frenetico in arrivo.

Al contrario, il Natale ci spinge verso quella che in ‘Essere fragili’ Mèlich indica come unica vera consolazione per l’uomo: la carezza. La carezza, come gesto prodotto e ricevuto, possiede un significato enorme. Non si tratta solo di consolazione, ma soprattutto di un prendersi cura. E prendersi cura di qualcosa è la prima forma di avvicinamento possibile, se non l’unica. Sempre da Mèlich: «L’essenza della vita umana è abitare (wohnen) e abitare vuol dire aver cura. Heidegger ricorda che in tedesco la parola costruire (buan) significa abitare […]. Questa antica parola, dunque, ci rivela qualcosa di più, ci avverte circa l’essenza dell’abitare, e indica in cosa consiste realmente l’abitare».
Ma questa non è l’unica cosa preziosa del Natale. Al di là della qualità intrinseca di spingerci verso il nostro nucleo familiare, e spingerci in tal senso ad abitarlo, il Natale rientra anche in quella serie di rituali che sono necessari all’essere umano per vivere un’esistenza ricca di senso. Come dicevamo in precedenza, la ricerca del senso non è semplice e rischia di essere complicata ulteriormente quando la produttività ci assorbe con i suoi terribili tentacoli di Scilla e Cariddi della quotidianità.
Il Natale, come il rito del funerale, per esempio, esiste su due piani distinti e agisce su entrambi questi piani per arricchire la nostra realtà e sostenerci nella sua elaborazione. I due piani sono quello dell’immaginario e quello del simbolo. Come sostiene Lacan, la realtà è formata da tre elementi distinti e fra loro profondamente connessi: il reale, l’immaginario e il simbolico. Questo concetto viene approfondito da Marco Dallari nel volume Immaginauti (Il Margine 2024, p. 142).
«Un funerale, ad esempio, riporta in vita il defunto per il tempo del rito nel corso del quale se ne evoca l’esistenza passata, se ne ricostruisce l’identità, talune tradizioni culturali ne affermano addirittura la permanenza in un’altra vita, […]. In ogni caso, attraverso l’elaborazione del lutto il defunto viene trasformato in qualcosa che assomiglia a ciò che per molti bambini e bambine è l’amico immaginario».
Questo a riprova del fatto che il simbolo e l’immaginario giocano un ruolo tanto importante nella realtà da essere difficilmente scindibili dal reale. In questa crepa, come nelle tante che questo mondo fragile ci mette in mostra, si infila a un certo punto, non molti anni fa, la figura di Babbo Natale. E proprio Babbo Natale, al di là della sua nascita come prodotto commerciale, è l’anello mancante tra la realtà della celebrazione natalizia di matrice cristiana e l’elevazione del Natale a momento a sé stante, e rituale fondamentale.
In sintesi: il Natale, con la sua essenza di celebrazione dei rapporti umani, ci riporta a un processo, quello della conoscenza dell’altro, che è fondamentale tenere ben presente e valorizzare. Sul piano dell’immaginario, inoltre, tutto ciò che amplifica il valore del reale non ha l’unica e asettica funzione di preparare il terreno allo shopping di fine dicembre, ma anche e soprattutto quello di assecondare la nostra parte infantile ad accettare un piano della realtà, l’immaginario, troppo facilmente relegato alla prigione d’oro dell’infanzia.
Al contrario, l’immaginario merita di essere sostenuto e nutrito. Per chiudere questa riflessione, ricollegandomi ai volumi sopracitati di Mèlich, il concetto del dono natalizio, sebbene sia diventato presto una sorta di contratto, nasce in quanto simbolo fortissimo di vicinanza. Il dono è, nella sua assenza di aspettativa, e nella sua non reciprocità, una manifestazione d’amore, esattamente come lo è la carezza. La carezza e il dono chiudono il Natale in una cerniera di affetto e valore che è nostro dovere apprezzare e proteggere.
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