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IL COMMENTO AL VANGELO

La croce come trono: il regno di Cristo secondo Luca

Il brano evangelico mostra come il sacrificio diventi atto di amore che trasforma dolore e ingiustizia in speranza e salvezza. Un insegnamento di fede che invita a guardare oltre la sofferenza, riconoscendo sacralità nei gesti di misericordia e perdono

Don Paolo Arienti

23 Novembre 2025 - 05:05

La croce come trono: il regno di Cristo secondo Luca

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

(Lc 23,35-43)

È la tesi sconvolgente della fede ecclesiale. Non c’è verità più vera che riguardi Dio di quella che Luca presta oggi alla celebrazione della solennità di Cristo Re. Ci aspetteremmo miracoli roboanti, segni di potenza, palazzi e vesti sontuose, ed invece siamo strattonati prepotentemente sin sul Calvario, la collina del teschio, dei pali che attendono i condannati… luogo di morte e di dolore atroce, per chi sta per morire, ma anche per chi è costretto a guardare. L’unico viaggio che Gesù compie verso la città santa, non approda nel tempio di pietra, non termina davanti al tesoro della gloria di Israele; sembra dissiparsi e marcire nell’unico modo in cui, sulla Terra, tutto ha termine: con la consunzione della vita, la sua sconfitta, per di più ordita da una trama di inganni e di prepotenza che in Gesù la stroncano in un’età relativamente giovane. Tutto avrebbe potuto andare diversamente, se i conti li avesse fatti una libertà umana abbandonata a se stessa, schiava della sua scarsa lungimiranza. Ed invece la tappa finale di quel cammino è comandata da una logica del tutto differente: quella che la fede cristiana ha ribattezzato come il sacrificio di Gesù. Non solo una privazione, una sofferenza da subire, ma molto di più, una scelta che trasforma tutto in sacro.

Ecco che cos’è “sacro”!

Ora è sacro il dolore, sono sacre le relazioni di affetto che nemmeno la morte può rompere, è sacro l’ultimo grido del ladrone pentito che si sente proclamare l”oggi” della salvezza. Sì, anche per quel poveraccio, reo confesso ed arreso alla condanna si realizza l”adesso” dell’amore che non distrugge, non disperde, ma mantiene nelle proprie mani. Ora è sacro dare la vita, non trattenerla né arrangiarla con mosse di furbizia più o meno riuscita. Ora è sacro non rispondere all’odio con l’odio. Ora è sacro spezzare il vortice della vendetta che tutto appiattisce e tutto organizza secondo la “ragion bellica”, per la quale solo la violenza sarebbe la giustizia degli uomini e la morale più plausibile da difendere. Tutto questo, ora, è sacro. Non è sacro il potere fine a se stesso; non è sacro sostituire la santità di Dio con le cose fugaci, fossero anche quelle più religiosamente codificate. Non è sacro conservare la vita per poi, irrimediabilmente, perderla.

L’anno liturgico finisce così. E come tutto quanto riguarda il tempo, che scorre solo apparentemente uguale a se stesso, come se non avesse direzione né senso profondo, ciò che finisce è in stretta connessione con ciò che poco dopo da quella fine scaturisce. Così il piccolo, ma preziosissimo, segmento dell’Avvento, molto prima di essere una preparazione al Natale, la prima venuta di Gesùnella carne”, sarà un’insistente interferenza della speranza sulla nostra storia appiattita dall’apatia della prepotenza. Sarà come uno squarcio che da quella croce insanguinata non ha ancora smesso di aprirsi su di un cielo diverso. Sarà un guardare oltre, all’insù, perché ci ricordiamo che è ancora umanamente possibile. Sì, la croce non è stato il punto di approdo di un viaggio insensato.

Una nuova direzione… della storia

Davanti alla croce è come se la direzione cambiasse: all’ingiù, nella profondità della terra, dove stanno i morti innocenti che rimandano ogni giorno il loro grido di “perché?”; e all’insù, verso Dio, che non può essere solo un testimone freddo di un mondo assurdo. La croce è il luogo in cui Gesù regna come sovrano: su di un trono impensabile, con servitori spesso improponibili, con leggi che quasi nessuno è disposto davvero a seguire sino in fondo. Meglio barattarle con qualche idea di potere anche politico, magari ispirato alla potenza di una Chiesa o alla Verità di una dottrina.

Le comunità cristiane che ascoltano questo brano, come tutti coloro che si confrontano con la narrazione di Luca non possono dire “non ho capito”… oppure… “ma non è andata così”. Tutti conosciamo i termini di questa regalità che compromette, scompone le costruzioni umane, impone di iniziare da altrove. Come è iniziata ancora la vita – stavolta piena, eterna – del ladrone pentito che entra in Paradiso. Questa regalità, ed essa sola, sarà la regola veramente “politica” per ogni cristiano, per ogni chiesa, per ogni coscienza che vede nel Vangelo l’affermarsi di un amore più grande.

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