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IL COMMENTO AL VANGELO

Tra prove e speranza, l'invito a resistere

L’annuncio sul crollo del tempio introduce una lettura esistenziale della storia: crisi, inganni e persecuzioni diventano occasione per testimoniare fiducia, guardare oltre la paura e riconoscere nella perseveranza il cammino che conduce alla pienezza promessa

Don Paolo Arienti

16 Novembre 2025 - 05:20

Tra prove e speranza, l'invito a resistere

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
(Lc 21,5-19)

Il Vangelo di Luca sceglie come struttura fondamentale la vicenda di un viaggio: quello di Gesù che punta al suo mistero pasquale, ai fatti della sua condanna e della sua risurrezione. Questo principio organizzatore mette Gesù in stretto rapporto con il tempio, la grande costruzione sacra sorta nei regni di Davide e Salomone e più volte ricostruita dopo gli esili forzati del popolo ebraico. Come ci raccontava domenica scorsa un altro evangelista, Giovanni, il tempio per i cristiani è ormai lui stesso, il suo corpo che diventa vera terra consacrata, vero luogo in cui incontrare l’amore di Dio e celebrarlo. E mentre Gesù sale verso Gerusalemme ed intravvede l’obiettivo di prendere il posto del tempio, riscrivere i codici religiosi dell’Ebraismo, la tensione aumenta. Il tono diventa apocalittico e si esprime attraverso il registro della distruzione, del giudizio definitivo, degli inganni svelati, della verità ormai palese. Appena prima di entrare nei giorni pesantissimi dell’arresto e della fine terrena, Gesù viene collocato in questa atmosfera che sa di fine, ma anche di scopo generale: l’apocalisse è infatti il compimento di tutto, in particolare il trionfo del giudizio divino sul male del mondo. Luca sa che il criterio che Dio utilizzerà per il giudizio non è la bufera della vendetta, quanto piuttosto l’affermarsi del sacrificio: è la croce, con il suo carico di sconfitta e vittoria, ad essere quanto Dio sceglie per confondere le potenze del mondo e sconfiggerle su di un piano inaspettato.

Gesù suggerisce ai suoi di non preoccuparsi per l’acutizzarsi dei tempi duri, per lo scoppio dei conflitti e delle ingiustizie: occorre mantenere la fede nella capacità di Dio di operare un’altra storia, cucendola secondo i suoi disegni che hanno al centro la dignità dei calpestati e degli sfruttati. Anche la violenza, che oggettivamente dilaga anche oggi, non dovrà atterrire: non sarà l’ultima parola, quella vincente. L’apocalittica con i suoi toni devastanti e paurosi conserva un’idea lucidissima: la potenza divina prevarrà. Di qui la consolazione e di qui, anche, l’allenamento a vedere la storia con occhi diversi, non offuscati dalla rabbia per l’ingiustizia che sfianca le sue vittime. Alle soglie del disastro che toccherà a Gesù, gli occhi della fede sapranno vedere il filo rosso tessuto da Dio nella storia del suo servo che non verrà abbandonato. Come non verranno abbandonati gli operatori di pace e le comunità ecclesiali. A patto che sappiano conservare lo sguardo giusto. L’anno liturgico che scandisce il ritmo delle comunità ecclesiali sta per concludersi: tra due domeniche inizierà, ancora una volta, il percorso dell’avvento, tempo apocalittico ed escatologico per eccellenza. Al suo centro ritroveremo non subito e non solo la nascita di Gesù, il suo primo arrivo (avvento), quanto piuttosto il suo definitivo ritorno come “figlio dell’uomo”, mediatore e messia, che verrà a giudicare i vivi e i morti. Nelle ultime domeniche dell’anno liturgico in corso la strada si fa più ripida, come se si impennasse verso l’alto, verso l’oltre, verso la destinazione finale della storia, il suo senso. Tutti sappiamo, laici o credenti, quanto anche oggi sia indispensabile avere qualcosa che ci tenga una mano sulla testa: una speranza concreta, una motivazione che ci sottragga dal sopravvivere solo a noi stessi. Il Vangelo ricorda che questo valore, questa voce non proviene solo da noi stessi né solo dalle capacità umane di cavarsela, magari in solitaria, ma è un dono che proviene dall’alto: l’inatteso che salva e libera.

E nel frattempo? Mentre si profila il definitivo? Mentre occorre mantenere la fede? Gesù parla di difesa da non preparare e di coraggio da mantenere. È, cioè, consapevole che la battaglia tra bene e male, tra Dio e potenze tenebrose del peccato, non è una passeggiata né una sceneggiatura da film: è la vita reale, quella che spinge a mettere al mondo figli, quella che induce a costruire società più giuste, quella che non si arresta davanti alla cura esigente dei più fragili. E non solo per pietà. C’è di più: c’è un pezzo importante della sostanza umana proprio dentro la fatica dell’amare e dello sperare. Siamo fatti così, noi esseri umani. Nonostante la continua disconferma che ci salta addosso dalla prepotenza dei nostri simili e dalla storia per così dire ufficiale.

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