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IN SCENA AL PONCHIELLI

Nabucco si converte al desiderio di pace

Grazzini sceglie una visione laica del capolavoro di Verdi. Veccia spicca nel cast vocale

Giulio Solzi Gaboardi

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redazione@laprovinciacr.it

22 Novembre 2025 - 09:05

Nabucco si converte al desiderio di pace

Un momento corale di Nabucco in scena ieri sera al Ponchielli (FOTOLIVE/Francesco Sessa)

CREMONA - Un dio di pietà e umanità vince l’idolo della morte e della violenza. Si riassume così il Nabucco di Giuseppe Verdi andato in scena ieri sera al Ponchielli nella messinscena ideata da Federico Grazzini. Il deserto spirituale di Nabucco viene proiettato su un deserto reale frutto della devastazione della guerra. Della serie: fanno il deserto e lo chiamano pace. In questo caso, fino alla conversione di Nabucco non c’è speranza di pace.

Mancherebbe la dimensione prettamente mistico-religiosa, che sembra un po’ strano negare a quest’opera così impregnata di schiettissimi richiami biblici. Grazzini sceglie di superare questa identificazione religiosa dell’etnos optando per una visione laica, incentrata sull’opposizione fra idolo della guerra e ‘dio’ umanitario, in cui la sofferenza privata del singolo (Nabucco) e la sofferenza fisica ed emotiva della collettività (gli Ebrei) sono la premessa di una catarsi che porta finalmente un culto di pace e luce a prevalere sul dominio della morte.

Angelo Veccia nel ruolo di Nabucco ieri sera al Ponchielli

È piuttosto interessante osservare come Grazzini tratta il tema della violenza, che effettivamente in Nabucco è preponderante. I primi atti di violenza, durante la Sinfonia, sono perpetrati da una squadraccia in nero ai danni di un gruppo di civili inermi e una bambina. La bambina viene strappata dalle braccia della madre, a un uomo viene sottratto un libro, che viene gettato violentemente a terra, a una donna vengono scoperte le nudità. E le violenze proseguono per tutti gli atti. A Zaccaria, capo della rivolta ebraica, sono cavati gli occhi.

La bambina vista all’inizio ricompare durante il Va’ pensiero mentre si diverte con un aeroplanino giocattolo per poi ricomparire avvolta da un telo bianco e coperta di sangue. Particolarmente forte l’idea di far cantare il coro in lode ad Abigaille all’inizio del terzo atto dagli Ebrei in una gabbia. La musica come strumento di violenza e imposizione? Qualcosa su cui riflettere.

Veramente efficace il lavoro di Giuseppe Di Iorio sulle luci, particolarmente centrali nella costruzione di ambienti che sanno di distopia orwelliana, con un bell’uso dei neon a significare sia l’idolo di Belo sia la prigione mentale di Nabucco e quella reale del popolo oppresso. Scene e costumi di Anna Bonomelli sono essenziali e coerenti con l’idea registica. Lodevole anche il lavoro di Grazzini sul movimento scenico e sulla costruzione delle psicologie caratteriali dei personaggi principali.

Kristina Kolar interpreta Abigaille

In Nabucco la follia omicida e la superba tenacia violenta ed egotica si tramutano in una follia delirante e tremante prima di una conversione umanitaria e cripto-pacifista. Angelo Veccia riesce a convincere nelle tre differenti vesti del ruolo eponimo, prima di tutto grazie a una recitazione credibile, attenta al gesto e alla corporeità. Dizione limpida, estensione invidiabile, profondità nello scavare la parola e porre la frase, unite a una linea di canto tersa e al timbro brunito e pungente: Veccia si conferma una perla nelle produzioni del circuito lirico lombardo.

Un’Abigaille le cui ricadute affettive altro non sono che forme di perversione del potere. Il ruolo lo ricopre Kristina Kolar non senza difficoltà. La parte è veramente molto complessa. Il soprano scala egregiamente i tanti acuti richiesti alla parte ma deficita di controllo su centri e gravi. E purtroppo il ruolo di Abigaille chiede tantissimo su tutta la tessitura. Lo Zaccaria di Peter Martinicic stupisce per la straordinaria estensione vocale che gli permette di muoversi con naturalezza dall’acuto al grave profondo in una parte veramente più che ingrata.

Il pubblico al Ponchielli

Sa pure interpretare: toccante nella scena del Levita e imponente nella Profezia. Un bel timbro vellutato al servizio di una linea di canto dolce e raffinata: Mara Gaudenzi nei panni di Fenena si conferma un’interprete da tenere d’occhio (la risentiremo a Cremona come Ottavia nella Poppea del prossimo Monteverdi Festival). Corretto l’Ismaele di Marco Miglietta. Completano il cast Saverio Pugliese (Abdallo), Greta Doveri (Anna) e Alberto Comes (Belo).

Una menzione speciale va dedicata al personaggio ‘collettivo’ incarnato dal Coro di OperaLombardia sempre eccellentemente istruito da Diego Maccagnola. Valerio Galli, alla prese con le continue insubordinazioni degli ottoni, riesce comunque dal podio a mantenere un ottimo controllo di ciò che avviene fra buca e palco (salvo un paio di lievi sfasamenti) con un gesto misurato e sempre attentissimo.

La concertazione è improntata su una buona varietà di colori e su un ritmo cadenzato e dalla buca si propaga un suono bronzeo e voluminoso. Senza essere mai frettoloso, Galli stacca tempi teatralmente molto efficaci e dimostra sempre rispetto per le esigenze vocali del cast. Spettacolo nel complesso ben confezionato con alcune intuizioni molto intriganti. Replica domani alle 16.

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