L'ANALISI
21 Novembre 2025 - 09:02
Nel riquadro Federico Grazzini
CREMONA - Federico Grazzini mette in scena al Ponchielli, stasera alle 20 e domenica alle 16, ‘Nabucco’ di Giuseppe Verdi, in un nuovo allestimento che colloca la narrazione in un presente distopico di torture e violenza, in cui vanno in scena, perpetuandosi, le angherie di un popolo sull’altro e i percorsi di rinnovamento interiore dei singoli per il bene comune. Nabucco è un’opera che apparentemente ha poco o niente di contemporaneo.
Cosa c’è di contemporaneo in quest’opera?
«La contemporaneità di Nabucco non sta né all’interno del libretto né nella sua forma drammaturgico-musicale, ma nel suo contenuto. Si è partiti analizzando la storia raccontata da quest’opera. E la storia di Nabucco racconta un percorso simbolico. Ha dei tratti in comune con la fiaba: un racconto non realistico che affronta accadimenti interiori universali. Nabucco narra un percorso di individuazione psicologico. Il protagonista, inizialmente, è un brutale assassino che vuole distruggere l’intero popolo degli Ebrei, per poi, attraverso la follia, rinsavire, conquistando una nuova consapevolezza luminosa e rifiutando l’idolo di Belo. La domanda che bisogna porsi allora diventa: cos’è, oggi, l’idolo di Belo? È il ciclo di violenza e sopraffazione tra popoli, che però può essere rotto. E qui entra in gioco la prospettiva morale ed etica di Verdi: se Nabucco può cambiare, possiamo cambiare tutti noi, spezzando le catene della nostra prigione mentale e politica».
Vede una continuità nella produzione verdiana intorno a questa prospettiva morale?
«L’impegno civile verdiano è ben visibile in tutta la sua opera. Bisognerebbe allontanarsi dall’idea del ‘patriottismo’ verdiano, che è più che altro un’etichetta attaccata a posteriori per interessi ideologici attuali. In Nabucco, cantano gli oppressi che cercano redenzione: la prospettiva del coro è di una fratellanza universale».
Qual è il percorso di Nabucco?
«Per comprendere Nabucco, bisogna ascoltare Abigaille. Nella sua aria, Abigaille dice di non sentire più niente. Nabucco ha chiuso il canale della compassione, dell’umanità. Ci ricorda l’indifferenza di oggi, che lascia che l’ossessione per la futilità del potere e del denaro schiacci le emozioni, la dignità personale e l’umanità altrui. C’è molto in comune con l’uomo contemporaneo. Verdi scrive quest’opera in un momento di deserto interiore, dopo aver perso l’intera famiglia. Quest’opera ci dice che attraverso la sofferenza si può giungere a una catarsi».
Verdi mette se stesso in questo personaggio?
«Per l’artista è sempre un entrare e uscire dai personaggio: c’è Verdi nella rabbia di Abigaille, nel cambiamento di Nabucco, nel coro di speranza degli Ebrei. Credo che Verdi abbia trovato speranza proprio nella musica».
Nell’opera è presente una dimensione divina che nel nostro tempo ha cambiato volto. Cosa vedremo?
«Una trasformazione spirituale. Nabucco tocca il punto più basso della disumanità e da lì comincia a risalire fino al divino, conferendo un nuovo senso a tutte le cose. Un dio di umanità in contrapposizione all’idolo della disumanità».
E Abigaille chi è?
«L’incarnazione di una furia di vendetta. Parla di compassione e vicinanza agli altri per uscire dalla gabbia dell’ego, ma è travolta dall’emozione, dalla gelosia e dall’invidia».
Altro tema verdiano è l’amore contro la ragion di Stato. Ismaele tradisce il suo popolo per amore mentre Zaccaria rappresenta l’uomo di Stato.
«In questo spettacolo, sono entrambi a capo della rivolta contro l’occupazione straniera. Sono accomunati dalla lotta per un ideale diverso».
In Nabucco il coro ha un ruolo da protagonista.
«Il coro rappresenta la comunità. Quello di Nabucco è un percorso individuale che ha però conseguenze sull’intera comunità. Nabucco concepisce una società mostruosa, dove sono concepibili campi di concentramento e genocidi. Un individuo che invece lavora su se stesso e trasforma la sua sofferenza in luce è la base per una comunità che si fondi su ideali di fratellanza e umanità».
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