L'ANALISI
STRADIVARIFESTIVAL 2025
27 Ottobre 2025 - 08:18
CREMONA -
«L’unica cosa che hanno in comune è l’anno di nascita: sono il diavolo e l’acqua santa», dice di loro il direttore artistico Roberto Codazzi.
Sergej Krylov e Fazil Say si incontrano e si scontrano nell’arena dell’Auditorium del Museo del Violino. A noi sembrano più che altro due angeli ribelli nell’ultima lotta con l’Eterno. La sala, inutile dirlo, è stracolma, il pubblico in visibilio trova felice e naturale espressione in un profluvio di applausi.
Così avvengono quelle grandi manifestazioni epifaniche in cui all’uomo è dato conoscere qualche frammento dei misteri del creato. Eccola, è lei: la Kreutzer di Beethoven. Questo monumento all’amore ‘rubello’, la liturgia dell’eros fuggitivo e lottatore. Lev Tolstoj a questa Sonata dedica un romanzo intero, tutto sull’amore e le sue distorsioni coniugali. Ricorda un po’ Scene da un matrimonio di Bergman.
Quanto è difficile vivere in coppia: violino e pianoforte si affrontano come due lottatori antichi, come Tancredi e Clorinda si avvinghiano e si assaltano. In questa Sonata c’è un universo. Krylov attacca con dolcezza, ripreso da Say con un tuono che rapidamente si affievolisce. Subito dopo, comincia la danza.
Un Krylov al massimo della forma e abbigliato da vero e proprio pirata secentesco esibisce un ventaglio di sfumature che pare infinito, veleggiando da sottigliezze fantasmatiche a veri colpi di mitraglia, cui si aggiunge un pizzicato a dir poco demoniaco. In un’altra vita, il russo cremonesizzato è stato un ballerino, non ci sono dubbi. Danzava su lame affilate o schegge di vetro.
Il suono nitido, leggero ma colorato dello Stradivari Camposelice 1710 asseconda questo virtuosismo trasformista che conferisce alla Kreutzer un aspetto magmatico, rovente, un morso di iena e una notte d’amore. Il pianista turco non è da meno nell’offrire un caleidoscopio espressivo che al languore romantico preferisce comunque di gran lunga l’assatanata frenesia erotica.
Unica eccezione è l’Andante centrale, che per sua natura è assai più vezzeggiativo che turbolento. Say canta (letteralmente) tutto quello che suona, ne dirige il suono muovendo (quando libera) la mano sinistra. Parrebbe un incantesimo. Ha le doti del mago, del folle o del genio. Spesso le tre cose vanno insieme.
Tutto troppo perfetto: all’apice del Finale della Sonata salta una corda dello Stradivari. Krylov sorride, alza il violino. Risate, applausi. Scappa via portandosi dietro Say. Rapido cambio di fantozziana memoria e si riparte.
Di Say vorremmo poi lodare la grande coerenza artistica. Non v’è dubbio alcuno di cosa voglia trasmettere con la musica, e in particolare con la sua. Il cataclisma emotivo, l’atomo scisso. Detesta la perfezione, ama sporcare. La sua Sonata n.2 per violino e pianoforte, eseguita a fine concerto, di questi sentimenti si fa interprete e portavoce.
Ispirata alla deforestazione dissennata del Monte Ida in Turchia, è un brano dirompente, onomatopeico, fortemente evocativo e allo stesso tempo spiazzante. Say manipola le corde del Fazioli occludendone il suono, imitando colpi d’accetta, simulando desolazione. Rispondono pizzicati metallici di Krylov.
Di Say si propone anche la trascrizione per violino e piano del Preludio e morte di Isolde dal Tristan wagneriano. Un Wagner quasi cameristico che non si sottrae alla grandiosità dei Leitmotive e alle sontuose architetture della sua opera più commovente.
Il suono che esplode: Isotta muore, innamorata. No, non ci sono pozioni, qui. Eppure, si esce innamorati.
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