L'ANALISI
25 Ottobre 2025 - 08:38
Sergej Krylov
CREMONA - Il cognome è moscovita, ma per chi lo conosce da sempre, Krylov è un nome cremonese. E, del resto, Sergej Krylov, a Cremona, è cresciuto, ha studiato, ha vissuto e ha suonato. E la sua storia personale — sua e della famiglia — è legata a doppio filo con la città del violino, tanto che due anni fa gli è stata concessa la cittadinanza onoraria e, oggi, Sergej può dirsi cremonese, ma, ancor più importante, Cremona può vantare tra i suoi concittadini uno dei musicisti più apprezzati al mondo, come dimostrano i tantissimi impegni internazionali del violinista, che l’hanno portato, tra le altre cose, a inaugurare la stagione sinfonica del Teatro Alla Scala, lo scorso 21 novembre.
Mentre risponde all’intervista, Krylov sta tornando da Istanbul, dove ha provato per oltre cinque ore con Fazil Say, in preparazione al concerto di domani sera, alle 21, al Museo del Violino, per il consueto appuntamento del Krylov Violin Project in seno allo Stradivarifestival.
Maestro, ci parli un po’ della sua agenda. È stato molto impegnato negli ultimi mesi.
«Sono stato in America Latina, in Cile, accolto da oltre mille spettatori. Sono anche reduce da una grande tournée asiatica con il direttore cremasco Jader Bignamini con l’Asian Youth Orchestra».
Suonerà il violino Stradivari Camposelice (1710), ricevuto in prestito dalla Nippon Music Foundation. Di Stradivari ne ha suonati tanti, durante la sua carriera, ma, per un violinista, che effetto fa suonare strumenti così prestigiosi?
«Non esiste una risposta unica a questa domanda. Il violino è come una voce umana: esistono voci simili ma mai uguali. Si potrebbe però stilare una serie di caratteristiche tecniche che definiscono il rapporto tra musicista e strumento. In primo luogo, la facilità di emissione del suono. Cioè quanto facilmente viene prodotto il suono toccando le corde. Ma quale suono? Molti violini emettono facilmente il suono, ma è un suono povero di armonici. Talvolta, invece, il suono non è bello su tutte le corde. Il violinista si domanda quanto profuma il suono? Qual è il timbro? Poi, c’è la potenza del suono. La priorità del solista è quella di far sentire il proprio suono in sala. Tutte queste caratteristiche devono sposarsi con il carattere del violinista: il suono di ogni grande violinista è riconoscibile, possiede una impronta digitale chiara. Basti pensare a Salvatore Accardo. Il violinista allora deve valutare quanto si trova in sintonia con lo strumento: è come guidare una macchina da corsa. Tutte queste componenti sono la base da cui il violinista deve partire per ‘sposarsi’ con lo strumento. Deve toccare le proprie corde dell’anima e quelle del pubblico».
E questo strumento, in particolare, cosa le sta offrendo?
«Promette benissimo, ma lo devo ancora scoprire. Ci stiamo ancora conoscendo. Un momento molto affascinante. Il violino si apre ogni giorno sempre di più nei miei confronti. E anche io mi apro verso di lui. Il suono è bello, ricco su tutte le corde. Non l’ho ancora suonato nelle sale più grandi, dove è necessario produrre tanto suono. Più il suono deve essere udibile, più rischi corri. È difficile comunicare la verità».

Con Fazil Say presenterete un programma molto raffinato che alle musiche di Say stesso unisce la magnificenza del Romanticismo tedesco in due delle sue più felici testimonianze, la Kreutzer di Beethoven e i temi del Tristan di Wagner.
«Mi sono innamorato della musica di Fazil Say. Sono felicissimo che mi sia capitata finalmente l’occasione di suonarla insieme a lui. Mercoledì scorso, a casa sua, a Istanbul, abbiamo provato insieme per cinque ore. Abbiamo parlato poco e suonato tanto: parliamo la stessa lingua. La sua Sonata n. 2 op. 82 è complicatissima ma è splendida, profondissima. E suoneremo anche il suo arrangiamento del Preludio e morte di Isotta dal Tristan und Isolde di Richard Wagner».
Questa affinità che siete riusciti a stabilire sarà fondamentale per affrontare la Sonata n. 9 in la maggiore “a Kreutzer”, probabilmente il brano più iconico del repertorio per violino e pianoforte.
«L’unico modo per suonare questa Sonata bellissima e difficilissima è proprio trovare un linguaggio comune. Violino e pianoforte devono parlare la stessa lingua. La Sonata parla un linguaggio drammatico, virtuosistico, pienamente beethoveniano».
Un ritorno a Cremona con questo appuntamento fisso che ormai, per lei e per i cremonesi, è tradizione. Si emoziona ancora?
«Cremona vive nel mio cuore da sempre. Suonare qui è ancora una grande emozione anche per le persone che mi aspettano e per cui provo un grandissimo affetto. Suono a Cremona una volta all’anno, ma sento sempre una forte responsabilità».
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