L'ANALISI
19 Ottobre 2025 - 13:15
Foto: FotoLive/Leonardo Calvi
CREMONA - Insomma, l’opera non è cosa per polli. O forse sì. Per galletti e galline, sicuramente, sì. L’Elisir d’amore dell'altra sera docet. L’allestimento è delizioso. Andrea Chiodi rifugge la cornice del villaggetto rupestre e ambienta il tutto in una fabbrichetta di pasta all’uovo popolata da una miriade di cartonati di graziose pollastre. Di questa fabbrica, Adina è la proprietaria e Nemorino il più reietto degli operai. Belcore è un sergente bersagliere/NAS assai negligente e sbruffone.
E Dulcamara è un venditore ambulante ninfomane, che spaccia bottiglie di Vov per fantomatici elisir prodigiosi. E la pozione d’amore confezionata per Nemorino non è che un preparato di due uova e zucchero (illo tempore, la mamma di chi scrive la chiamava ‘crema gialla’). L’idea di Chiodi nasce da un verso intonato da Dulcamara, che al Nemorino ‘pozionato’ rivolge l’appellativo di «gallo della checca (che) tutte vede tutte becca».

E vabbè, l’aggancio non è che sia proprio solidissimo, ma il senso tutto sommato c’è e soprattutto Chiodi confeziona uno spettacolo sempre molto coerente, in cui tutti si muovono con un senso all’interno delle belle scene del cremonese Guido Burganza assai ben condite dalle luci di Gianni Bertoli e i costumi coloratissimi e chic di Ilaria Ariemme. Particolarmente azzeccata è la scelta di dipingere Nemorino come un emarginato alla Hugo, che, dall’alto, guarda il mondo vivere senza di lui. La direzione dei Pomeriggi Musicali è affidata a Enrico Lombardi che si conferma ottimo concertatore.
Ricorre a un bel lirismo mai pedante e mieloso, ma anzi brillante e colorito. Frizzanti i momenti comici e di corteggiamento. Stacca tempi spiccatamente teatrali: si portino a motivo di esempio la rapidità vorticosa dell’attacco e le pause con cui si sviluppa la prima scena di Nemorino e Dulcamara. Adotta inoltre una serie di varianti che danno freschezza alla partitura eludendo manierismi di tradizione. Ottima la gestione delle dinamiche: forniamo a testimonianza almeno il trio finale del primo atto.
Il cast, interamente composto dai vicntori del concorso di canto AsLiCo, è ben assortito e tutti sanno pure recitare bene. Fra tutti, spicca il Dulcamara di Giacomo Nanni. Vero animale da palcoscenico, il timbro è brunito e l’estensione gli rende facilmente raggiungibili le note alte come quelle più gravi. Il fraseggio è curatissimo e la dizione perfetta. Nico Franchini dipinge un Nemorino di densa vena malinconica.

Ingenuotto e illetterato, sì, ma anche pieno di mestizia legata proprio alla sua ingenuità, ai suoi comportamenti vagamente autistici frutto di una perpetua emarginazione. Franchini sfoggia un bel timbro chiaro, facilità in acuto e giusta profondità nella Furtiva lagrima, qui presentata con una bellissima variazione d’autore di un paio di battute nella seconda strofa. Sabrina Sanza è un’Adina completa e convincente, tra impeccabile fraseggio, agilità dinamiche di grande effetto e bella voce. Giovanni Accardi è un Belcore baldanzoso e virtuoso.
Ben impostata anche la Giannetta di Rosalba Ducato. Come sempre sugli scudi il Coro di OperaLombardia preparato da Massimo Malaspina. Il pubblico, composto, tra gli altri, di moltissimi giovani e parecchi spettatori (rumorosamente) teutonici, applaude e si diverte. Ci prendiamo due righe anche per offrire un ulteriore motivo per non perdersi quest’opera.
Al genio teatrale di Donizetti si affianca un libretto di sconfinata bellezza, firmato da uno dei più grandi librettisti del suo tempo: Felice Romani. «Chiedi al rio perché gemente dalla balza ov’ebbe vita corre al mar che a sé l’invita, e nel mar sen va a morir». La più bella metafora dell’amore mai scritta, messa in bocca a un analfabeta come Nemorino. La ricchezza dei semplici.
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