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L'INTERVISTA

Lo storico: «Fascismo, ecco come superarlo»

Flores d’Arcais legge il rapporto fra storia e memoria: giovedì la conferenza in sala Puerari

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

01 Ottobre 2025 - 11:55

Lo storico: «Fascismo, ecco come superarlo»

Marcello Flores d’Arcais è ospite della Società Storica

CREMONA - «Storia o memoria? Il dibattito in Italia su fascismo e antifascismo» è il titolo dell’incontro che giovedì alle 16,45 in sala Puerari terrà Marcello Flores d’Arcais, nome di spicco del ciclo di conferenze «1943 - 1945 Fatti e volti della Resistenza», curato da Maria Luisa Betri e Angela Bellardi, un percorso all’interno di protagonisti e avvenimenti che hanno portato alla liberazione dal nazifascimo. E l’incontro con Flores d’Arcais vuole entrare nel merito di un dibattito che dura da ottant’anni, e che oggi ha assunto un peso specifico e politico: l’urgenza di dirsi oggi antifascismi e la declinazione di quel termine in chiave contemporanea.

Che relazione c'è fra memoria e storia?
«Quando parliamo di memoria dovremmo parlare, in realtà, di memorie, al plurale: sia che pensiamo alle memorie delle singole persone, che sono in qualche modo uniche e irripetibili, sia se ci riferiamo a memorie di gruppi (politici, religiosi, culturali, di tipo geografico, di età), che costituiscono una sorta di minimo comune denominatore per tutti gli appartenenti al gruppo, ma sono meno rigide e coerenti delle memorie individuali. Tutte le memorie, in ogni modo, fanno parte della storia, sono la rappresentanza soggettiva di una realtà che è composita e complessa. La storia, per l’appunto, è la ricostruzione di questa complessità, a partire dalla narrazione dei fatti ed eventi su cui vi è certezza e documentazione che siano accaduti, del modo in cui le diverse memorie le hanno elaborate e raccontate, e dell’interpretazione che lo storico dà sul perché e come quei fatti si sono manifestati, e quali conseguenze hanno avuto».

La memoria non rischia di far travisare i fatti? La storia può raggiungere una veridicità degli avvenimenti trattenuti dalla memoria?
«La memoria è sempre una rilettura selettiva e soggettiva dei fatti, e quindi li può certamente travisare. La certezza sui fatti la possono dare un numero maggiore di documenti e anche di memorie, che devono convergere sui momenti essenziali e costitutivi di un evento. La veridicità della storia è certamente più alta di quella della memoria, proprio perché prende in considerazione anche elementi che la memoria ignora. Un caso esemplare di questa dicotomia fu la discussione sull’uso dei gas in Etiopia da parte dell’esercito italiano fascista. Indro Montanelli sosteneva che non era stato usato, perché era lì e se lo ricordava bene; ma i documenti di archivio, le testimonianze le vittime, le successive memorie anche di protagonisti che le avevano usate dimostrarono che era stato ampiamente usato. Montanelli solo dopo anni di polemica con Angelo Del Boca riconobbe di avere torto, quando il governo italiano nel 1996 riconobbe il fatto e pubblicò i telegrammi (che gli storici già conoscevano) che ne costituivano la prova».

Il Paese non è ancora riuscito a fare i conti con il Ventennio?
«L’Italia ha rimosso per troppo tempo la conoscenza e l’analisi del fascismo, anche se la ricerca storica ha prodotto tantissime analisi, ricostruzioni e interpretazioni differenti, ma sostanzialmente convergenti su una serie di fatti essenziali. Da una parte c’è stata la prevalenza, nel dopoguerra, della memoria della Resistenza che serviva a far dimenticare il consenso corposo dato dagli italiani al regime fascista per molti anni, accompagnata da una visione del fascismo edulcorata soprattutto nella comparazione con il nazismo, che ha impedito a lungo di comprendere la natura e struttura violenta del fascismo che si è mantenuta intatta dalle origini fino alla sua disfatta, rendendolo un regime pienamente totalitario».

L’idea di fascismo come si traduce nella società del XXI secolo?
«L’idea che predomina in questo secolo è quello di utilizzare il termine «fascismo» in senso lato, non storico, come sinonimo di un regime, di una società, di una mentalità autoritaria che si manifestano però in forme diverse e legate alle proprie caratteristiche storiche: così si può parlare tranquillamente – anche da parte di studiosi – di fascismo per Putin ma anche per Trump, per Erdogan o per Milei. Si tratta di un uso che ha poco a che fare con la realtà storica del fascismo italiano ma serve a condannare le forme, derive, propensioni autoritarie e dittatoriali che sono presenti nella logica nazionalista e sovranista che sembra dominare questa fase storica.

La definizione di antifascista basta a definire ciò che si è e i principi in cui si crede?
«La definizione antifascista è generica e sempre più ambigua man mano che ci si allontana nel tempo dal fascismo storico. Oggi si autodefiniscono antifascisti persone e gruppi democratico-liberali, riformisti, nostalgici comunisti e anche populisti (pensiamo ai 5stelle), perfino chi ha simpatie per forme di lotta anticapitalista violenta o addirittura terrorista. Si tratta quindi di un termine che, connotando cose molto diverse fra loro, indica poco in senso positivo e costruttivo, e che acquista senso, probabilmente, solo quando si è di fronte a tentativi di minimizzare la condanna del fascismo o edulcorarne le colpe e responsabilità storiche. In ambito europeo, inoltre, da quando vi è stato l’allargamento a est bisogna ricordare che l’antifascismo era l’ideologia ufficiale dei regimi e governi totalitari e dittatoriali e quindi per l’opinione pubblica dei paesi dell’est Europa non può avere lo stesso significato positivo che ha avuto in Europa occidentale».

Si assiste a un diffondersi di governi di destra, da quello italiano a quello americano: da storico come legge questo fenomeno? Si può fare un raffronto con quanto accadde 80 anni fa?
«La spinta al successo di governi di tipo nazionalista e sovranista, di destra, è abbastanza evidente in questi anni, anche se conosce molte contraddizioni e non è detto che le prossime elezioni confermino ovunque questa tendenza (pensiamo al ribaltamento che c’è stato in Brasile, per esempio). È una spinta che nasce grazie al consenso per le idee nazional-sovraniste di fasce popolari che si sono sentite penalizzate dalle dinamiche della globalizzazione, minacciate e preoccupate dalle inevitabili ondate migratorie che sono conseguenza sia dei numerosi conflitti che della stessa globalizzazione (e dell’invecchiamento delle popolazioni, per esempio in Europa). Anche 80 anni fa, dopo un breve periodo, la nascita della guerra fredda ha favorito quasi ovunque governi di destra o centro-destra, che però non avevano alcuna simpatia o legame col passato fascista e accettavano la logica delle nuove istituzioni sovranazionali (ONU, istituzioni sul Commercio, il Lavoro, la Salute, la Giustizia, ecc) dominate dalle due superpotenze USA-URSS. Oggi sono proprio gli eredi di quelle due superpotenze, Putin e Trump, a indebolire maggiormente il sistema internazionale multilaterale, rivendicando il proprio diritto ad agire secondo solo i propri interessi, in una logica seguita da tanti governi (israeliano, turco, indiano, cinese) che rende sempre più inefficaci e apparentemente inutili le grandi agenzie internazionali».

Quale soluzione per opporsi al dilagare della destra? 
«Anche se è difficile individuare le forze politiche che possono rappresentare, oggi, una legittima e credibile alternativa ai governi di destra nazional-sovranisti, alla base credo che debba esserci la rivendicazione della democrazia (intesa come struttura di pesi e contrappesi costituzionali, non di dominio della maggioranza), del diritto internazionale e dello stato di diritto, accompagnate da progetti capaci di individuare le forme di una nuova redistribuzione del reddito di stampo maggiormente egualitario che permetta di non abbandonare come obsoleta la tradizione del welfare state che ha accompagnato la lunga fase pacifica e di sviluppo del dopoguerra».

Da storico come legge i nostri anni?
«Come anni di grandi e profonde trasformazioni, che segneranno presto (in uno o due decenni, ma forse anche meno) una svolta analoga alle grandi fratture che si sono avute nel mondo ogni 50-70 anni dall’epoca della nascita del capitalismo e delle rivoluzioni americana e francese. Oggi la spinta tecnologica ad aprire un orizzonte nuovo con l’intelligenza artificiale e le biotecnologie non è accompagnata da un’analoga attenzione ai temi della sicurezza, del lavoro e soprattutto del progressivo disastro ambientale che rischia di mettere in discussione l’esistenza dell’umanità nel suo insieme. È un contesto in cui la necessità di un nuovo e più forte e coerente patto internazionale sembra evidente a tutti, ma che le élites dominanti rifiutano di prendere in considerazione proseguendo in una logica miope e nazionalista e che le opinioni pubbliche rifiutano di vedere nascondendo la testa nella sabbia di una diffusa ideologia di rabbia, vendetta e vittimismo che le rende incapaci di ridiventare protagoniste e capaci di imporre scelte indirizzate alla giustizia, libertà e pace».

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