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UN ANNO DA CONSERVARE

«Un museo per tutti: non un sogno, la realtà»

Riccardo Angeloni: «L’MdV dialoga con la città e con pubblici diversificati e ha un ruolo con i liutai»

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

16 Giugno 2025 - 05:10

«Un museo per tutti: non un sogno, la realtà»

CREMONA - Potrebbe essere uscito da un quadro di Diego Velázquez, Riccardo Angeloni, classe 1993; da un anno ricopre il ruolo di conservatore delle collezioni del Museo del Violino, un anno vissuto intensamente e – forse – nell’ombra, ma con una passione che traspare da quello che dice e dalla prospettiva con cui guarda al futuro e al ruolo del museo e della figura del conservatore.

Che bilancio fa di quest’anno al Museo del Violino?
«Ho imparato tanto e soprattutto tanto ho ancora da imparare. Ma l’esperienza di conservatore mi ha permesso di capire non solo l’unicità e la qualità del nostro museo, ma anche le sue potenzialità».

Da cosa nasce questa considerazione?
«Dal rapporto quotidiano con chi viene al Museo del Violino, con i ragazzi delle scuole: dall’infanzia alle superiori che frequentano il museo e partecipano alle audizioni durante i mesi primaverili. Un aspetto questo non secondario e che riempie le giornate di energia e dà un senso a quello che facciamo».

Perché?
«Perché, tra le altre cose, ciò che fa il Museo del Violino è offrire l’esperienza del suono attraverso l’audizione. Le scuole trascorrono un’intera giornata in museo, tra visite e laboratori didattici. È bellissimo vedere i bambini sprofondati nelle poltrone dell’Auditorium e, molto spesso, vedere e sperimentare il loro primo incontro con la musica suonata dal vivo».

Ma in questo contesto qual è il suo ruolo?
«Io preparo gli strumenti, fornisco ai musicisti le indicazioni su come maneggiarli in sicurezza e, prima di iniziare, racconto al pubblico una delle mille storie che si celano dietro a ognuno di essi. Quest’anno abbiamo inserito nella programmazione due nuovi musicisti ‘cremonesi’, Stefan Stancic e Alessandro Faraci. La cosa bella è vedere come si sviluppa il rapporto fra musicista e strumento, una familiarità che fa crescere gli artisti».

E fa bene allo strumento?
«L’utilizzo degli strumenti delle collezioni è controllato e normato. L’uso costante non è necessario per la conservazione del suono, mentre è importantissimo mantenere questi strumenti in condizioni di suonabilità e in un ambiente controllato, monitorandone lo stato di salute. Suonare gli strumenti, con tutte le attenzioni del caso, rappresenta piuttosto un’opportunità sociale e culturale: capolavori con secoli di storia alle spalle la cui voce diventa tramite di emozioni e, appunto, cultura».

Sembra di capire che il suo lavoro di conservatore abbracci più ambiti e non solo quello dello studio e della ricerca.
«Studio e ricerca sono il presupposto, ma non sono un rifugio e motivo per astrarsi dalla realtà. Penso all’occasione offerta dalla mostra dello Stradivari 1724 Sarasate, il violino dei virtuosi arrivato al Museo del Violino grazie alla collaborazione col Musée de la Musique di Parigi, un progetto iniziato da Fausto Cacciatori e che ho portato avanti con la possibilità di una collaborazione e confronto diretto col curatore parigino Jean-Philippe Échard con cui sono ancora in contatto. Oppure, non si può non citare il violino Carlo Bergonzi Misha Piastro entrato nelle collezioni, grazie a Fondazione Arvedi Buschini. Sono state occasioni, queste, per studiare, analizzare i violini, anche grazie alla sinergia con il laboratorio di diagnostica non invasiva coordinato da Marco Malagodi. Questo vale anche per quegli strumenti del circuito friends of Stradivari che tornano a casa per periodi più o meno lunghi. Ma ciò che è sorprendente – è accaduto col Sarasate – è vedere come gli strumenti di Stradivari sparsi in tutto il mondo trovino nei disegni, forme e modelli della bottega del massimo liutaio, conservate in museo, la loro origine, ritrovino la loro storia e genesi. Questa è una risorsa unica della nostra città e un aspetto affascinante di questo lavoro di studio e di conservazione».

Che però non sembra costringerla all’isolamento.
«Direi proprio il contrario. L’aspetto di studio e conservazione degli strumenti ha un suo valore aggiunto nel lavoro di équipe con tutto lo staff del Museo del Violino. Si spazia dalla necessità di controllare il microclima del museo per assicurare un ecosistema adeguato ai capolavori della collezione, alla volontà di costruire percorsi di studio ed espositivi che permettano di far vedere strumenti, magari non esposti. Tutto questo risponde a un’idea dinamica della conservazione e della funzione dei musei. Si tratta di una condivisione di intenti che nasce da uno stretto dialogo e legame di lavoro e di progettualità con la direzione generale del museo».

E questo in prospettiva come potrà tradursi per l’istituzione Museo del Violino?
«Come già si sta facendo. Esistono diversi pubblici del museo, ci sono le scuole, gli appassionati, i curiosi, ma ci sono anche i liutai con cui, nell’ambito del Piano di Salvaguardia, si sono attivati percorsi formativi ad hoc, opportunità per toccare con mano i grandi strumenti della tradizione classica. C’è poi l’attenzione ai visitatori stranieri, i nostri operatori di sala sono formati sulle novità del museo, sugli strumenti che arrivano all’MdV e sulle caratteristiche. Offriamo visite in lingua inglese, francese, spagnolo, tedesco e cinese. Non è detto che tutti sappiano l’inglese. Stiamo lavorando a nuove audioguide multimediali che offriranno diverse modalità di fruizione del Museo. Anche questo è un aspetto importante che deve essere supportato dalla conoscenza storica e liutaria dei beni conservati».

Insomma, un museo on demand?
«Una specie, ma forse sarebbe meglio dire un museo in grado di accontentare le esigenze informative e formative di pubblici differenziati. Un museo non statico in cui l’esposizione dei violini coesiste con lo sforzo scientifico di studiarne i materiali e la storia e con l’opportunità di farne sentire la voce, tenerla viva. La voglia è quella di aprirsi sempre più alla città».

Una città che dialoga con il Museo del Violino?
«Credo che la rete che accompagna e sostiene la vocazione liutaria cittadina abbia fatto maturare ogni suo singolo tassello. La collaborazione col Ponchielli, penso all’ospitalità del ritratto di Monteverdi e alle audizioni dedicate agli strumenti barocchi, la sinergia con la Scuola di Liuteria, con l’Accademia Stauffer e naturalmente con il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali, il presidente della laurea quinquennale in Conservazione e Restauro degli strumenti musicali e scientifici siede nel comitato scientifico del museo. Non meno importante è notare come tre strumenti delle collezioni civiche siano oggi oggetto di tesi di laurea, finalizzate a un progetto di restauro e allo studio dei singoli strumenti. Sono aspetti importanti, una rete in cui è bello poter lavorare per far crescere la cultura liutaria e musicale della comunità. Per questo dico che in un anno ho avuto modo di imparare tanto e apprezzare una realtà veramente unica e complessa che lavora ad un unico obiettivo: far crescere e conoscere la cultura liutaria e i capolavori dei grandi maestri, nonché l’eredità che da essi arriva ai giorni nostri».

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