L'ANALISI
31 Maggio 2025 - 08:27
CREMONA - Il volto di Monteverdi torna ‘a casa’. Da oggi e fino al 29 giugno sarà esposto al Museo del Violino il ritratto di Claudio Monteverdi, realizzato dal pittore genovese Bernardo Strozzi. La mostra accompagnerà dunque il Monteverdi Festival lungo tutta la sua durata. «Due anni fa ero in visita a Innsbruck — ricorda Andrea Cigni, direttore artistico del Monteverdi Festival — e vedendo questo dipinto ho pensato subito dovesse ‘tornare a casa’. Una iniziativa che arricchisce il festival dedicato al compositore cremonese. L’opera, come la pittura, è un veicolo di emozioni che non ha bisogno di conoscenze tecniche: la musica è per tutti, e questo Monteverdi lo sapeva molto bene».
La mostra, realizzata dal teatro Ponchielli e del Museo del Violino in collaborazione con il TirolerLandesmuseen, Ältere kunstgeschichtliche Sammlung di Innsbruck, dove il quadro è custodito, si intitola ‘Il Volto dell’Opera’ e sarà visitabile insieme all’esposizione permanente del Museo con riduzioni particolari per gli spettatori del Festival. Il taglio del nastro è avvenuto nel pomeriggio di ieri, introdotto dai saluti della direttrice del Museo, Virginia Villa, che durante il suo intervento ha ringraziato il conservatore, Riccardo Angeloni, e la conservatrice del TirolerLandermuseen, Claudia Bachlechner, per aver predisposto il dipinto di Strozzi in mezzo ai preziosi strumenti esposti nel Museo. «Suono il violino — racconta Bachlechner —: mi sento a mio agio circondata da questi strumenti».
Il dipinto, restaurato nei laboratori del museo di Innsbruck proprio in occasione della mostra cremonese, è stato realizzato a Venezia negli anni Trenta del Seicento da Strozzi, per poi arrivare in Tirolo nel XIX secolo grazie a una donazione privata. «Il volto di Monteverdi sparso per la città ci racconta una storia — commenta il sindaco, Andrea Virgilio —: siamo orgogliosi di presentare una manifestazione musicale attraverso un’arte diversa, con un ritratto. La contaminazione di forme espressive diverse è una delle peculiarità del festival, che esce dai propri spazi e si diffonde per la città e nei luoghi del sociale e del lavoro. La cultura deve essere un fatto democratico e deve essere per tutti». Prima del taglio del nastro e dello svelamento del dipinto, Rodolfo Bona, assessore alla Cultura e storico dell’arte, ha tracciato brevemente i punti salienti della vita di Strozzi, sottolineandone la carica espressiva innovativa e associandolo, per questo, al genio inventivo di Monteverdi: «I due artisti — spiega infatti Bona — muoiono nel giro di un anno di distanza, a Venezia, ma hanno quattordici anni di differenza l’uno dall’altro. La capacità di unire tradizione e innovazione in una prospettiva di grande cambiamento è comune anche all’autore del ritratto. Strozzi, come Monteverdi, fu un ‘fuoriclasse’: è impossibile incasellare rigidamente entrambi in categoria artistiche. Artisti che vissero il loro tempo, restando aperti agli stimoli e attenti ai cambiamenti».
La presenza di tre ritratti sopravvissuti di Monteverdi, in effetti, testimonia la fama raggiunta dal divin Claudio negli anni mantovani e veneziani. Le valutazioni di Bona si concentrano poi sulla datazione reale del dipinto, che andrebbe post datata di un paio d’anni rispetto all’attribuzione attuale (1633), alla luce degli sviluppi tecnici della pittura di Strozzi, testimoniati in quegli anni. Quella di Strozzi, infatti, è una pittura afferibile al Tardo Manierismo controriformato, che parla alla masse di fedeli. L’inclinazione, l’uso delle luci, l’attenzione per le mani e il volto dell’artista, però, suggeriscono un confronto col ritratto del doge Francesco Erizzo, realizzato dallo Strozzi nel 1635.
«La perizia della realizzazione del ritratto — conclude Bona — tradisce la considerazione di cui godeva già Monteverdi in quegli anni: era considerato un vero e proprio genio». Il ritratto — straordinariamente naturalistico nella resa fisica ed emotiva del compositore — rappresenta Monteverdi in età avanzata, vestito con abiti sobri ma eleganti, degni del suo ruolo di maestro di cappella della Basilica di San Marco a Venezia: la veste nera con colletto e polsini bianchi. Lo sguardo è diretto, penetrante, segnato da un’intensa gravitù che sembra riflettere l’esperienza, la meditazione e la consapevolezza del proprio valore artistico. Il viso asciutto ma scolpito, la barba lunga e ingrigita, la fronte ampia e rugosa, le mani adagiate con molle compostezza su una partitura manoscritta: ogni dettaglio del volto e della posa suggerisce dignità e rigore, forse anche una sottile malinconia.
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