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MUSICA A CREMONA

Monteverdi Festival 2025, l'anteprima intona il Vespro

Ad interpretarlo alle 18 a San Marcellino i due massimi gruppi di musica antica spagnoli creati e diretti da Savall

Giulio Solzi Gaboardi

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07 Giugno 2025 - 09:21

Monteverdi Festival 2024, l'anteprima intona il Vespro

La Capella Reial de Catalunya

CREMONA - La tradizione si rinnova e anche quest’anno il Monteverdi Festival intona il Vespro della Beata Vergine come prima importante anteprima della rassegna estiva. La solita preghiera benaugurale che ha portato tanto bene, soprattutto negli ultimi anni di Festival, segnati da un via vai continuo di clamorosi successi e grandi nomi. Tra questi nomi, c’è ovviamente quello di Jordi Savall. Il leggendario musicista catalano dirigerà oggi alle 18 nella chiesa di San Marcellino il Vespro con la Capella Reial de Catalunya e Le Concert de Nations.

Tra i solisti, Mauro Borgioni, che sarà protagonista dell’opera inaugurale, Il ritorno di Ulisse in patria, nonché la cremonese Anna Piroli. Il concerto, che si prospetta memorabile, è da settimana tutto esaurito, e darà il ‘la’ alla 42esima edizione del Monteverdi Festival, in attesa dell’inaugurazione ufficiale di venerdì prossimo. Il programma — ormai un ‘must’ del cartellone del Festival — vede l’esecuzione del Vespro della Beata Vergine nella sua interezza: dalle note incipitarie del Deus in adiutorium, che ricalcano pedissequamente la Toccata di Orfeo, fino al Magnificat conclusivo, una pagina di inimitabile bellezza.

Il direttore Jordi Savall

Uno dei principali effetti della Controriforma, dopo il Concilio di Trento, fu il rilancio del culto mariano. Monteverdi, musicista e intellettuale acuto, deciso a lasciare la corte gonzaghesca di Mantova — prestigiosa ma poco remunerativa e certamente stretta al genio del compositore cremonese — colse la palla al balzo. Nel 1610, il divin Claudio, senza far capo a una commissione specifica, com’era invece avvenuto, ad esempio, tre anni prima con L’Orfeo, scrive una monumentale messa sacra dedicata alla Madre di Dio. In quegli anni, Monteverdi cercava di lasciare la corte di Mantova per approdare a più felici lidi.

La speranza era Roma, dove sperava di raccomandare il figlio Francesco e di consegnare al pontefice, Paolo V, la copia manoscritta del Vespro con la dedica al Santo Padre. Ma più che la furbizia potè la sfortuna, e Monteverdi tornò a Mantova a mani vuote, dovendo aspettare fino al 1613 per trasferirsi a Venezia dove ricoprì il prestigiosissimo ruolo di maestro di cappella a San Marco. Il titolo latino, lunghissimo, barocco e ampolloso, in pieno stile controriformistico, viene in tempi moderni riassunto come ‘Vespro della Beata Vergine’. Unanimemente riconosciuto come un capolavoro musicale determinante, sotto la sua veste liturgica, si cela un organismo musicale ciclopico, esplosivo, stratificato: un’architettura vertiginosa, lucente, inarrivabile che segnò un punto di frattura nella storia della musica occidentale, cambiandola per sempre.


Pur attenendosi ossequiosamente alle stringenti norme del vetusto patrimonio del tradizionale canto ecclesiastico, e in particolare al canto fermo gregoriano, le ‘varie et diverse maniere d’invenzioni et armonia’ sconvolgono nella loro fastosa perentorietà, che rende quest’opera una immensa celebrazione alla Vergine Maria tramite la grandezza del canto e della musica. Diceva Sant’Agostino, del resto, che chi canta prega due volte — e che, anche per la musica sacra, si versano lacrime.

Dopo l’apertura del Deus in adiutorium meum, seguono salmi e inni che si muovono come costellazioni. Ogni numero è un mondo a sé: il Laetatus sum procede come una processione urbana, con cori che si rincorrono da un lato all’altro del tempio, mentre il Nisi Dominus si srotola come un tappeto orientale, ricamato d’invenzioni metriche e timbriche. Il vertice, però, è il Duo Seraphim, dove le due voci angeliche si chiamano, si rincorrono, si confondono, si fondono in un terzo, in un gioco trinitario che è anche esempio di teatralità pura, sospesa tra cielo e terra. Monteverdi alterna la policoralità alla monodia, il rigore liturgico alla libertà espressiva. Ma tutto è organicamente legato. Questo è un Vespro, sì, ma è anche un trattato di nuova musica. È la prova generale del barocco sacro: la parola, il canto fermo e l’espressione degli affetti trovano in quest’opera la summa artistica del Monteverdi sacro (e forse non solo).

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