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CREMONA

Concertistica: Lucas e Arthur, il virtuosismo è alle stelle

I fratelli Jussen all’esordio al Ponchielli accolti con calore dal folto pubblico. L’emozionante bis affidato a Bach

Giulio Solzi Gaboardi

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redazione@laprovinciacr.it

11 Aprile 2025 - 08:35

Concertistica: Lucas e Arthu, il virtuosismo è alle stelle

CREMONA - I fratelli olandesi Lucas e Arthur Jussen, il primo classe ‘93, il secondo ‘96, si sono esibiti ieri sera al Ponchielli con un programma all’insegna del virtuosismo per due pianoforti e per piano a quattro mani. Vorremmo cominciare questa recensione dalla fine. Dal bis. «Cosa suonare dopo tutta questa musica — si chiedono ad alta voce — se non un ritorno alle origini? Se non Bach?». E suonano l’adattamento per due pianoforti dell’aria Aus Liebe will mein Heiland sterben dalla Matthäus-Passion. Senza ombra di dubbio il brano più riuscito della serata, eseguito con trasporto, scevro da superflue infiorettature, senza istrionismi: semplicemente musica, semplicemente Bach.

È un apice di commozione e delicatezza, un momento di estasi serena in cui ogni nota è bontà e meraviglia. Osservati dalla giusta prospettiva, a volte, i due Jussen sembrano un’idra bicipite, le cui teste si alternano su e giù in una danza tutta fatta di oscillazioni che seguono l’andamento del corpo sulla tastiera e di quei moti del capo per cui gli occhi, chiusi, immaginano di seguire il flusso immaginario (o no?) della musica. In altri momenti sono entrambi uno stesso corpo, stessa testa, stesse mani, fusi come metalli dai riflessi dorati, i capelli biondi.

L’analisi estetica, ça va sans dire, è ben poca cosa, se non un piccolo vezzo, un divertissement che può affascinare in sala ma che non basta a garantire un grande concerto. Qui subentra allora una tecnica raffinato, frutto di anni di studio condotto insieme, sotto la cupola di una famiglia di musicisti. Tutto bellissimo. Ma ci sono dei ‘però’. A cominciare dal volume. Un Fazioli ha una grande voce. Due Fazioli hanno due grandi voci. L’equazione è elementare, e bisognerebbe comportarsi di conseguenza. Il volume risulta quindi sempre molto ampio: vuoi per un primordiale senso di competizione tra fratelli, vuoi per un eccesso di hybris, vuoi per un po’ di sano invasamento giovanile.

Sta di fatto che i due fratelli mostrano con forza una voglia travolgente di far sentire la propria voce, un ruggito giovanile. Certamente istrionici, forse un po’ troppo, ma fa parte del gioco, come le esagerazioni dei giochi tra fratelli, tra le mura di una cameretta e oltre i confini della fantasia. Inizio scoppiettante con l’Andante e Allegro brillante di Mendelssohn, esecuzione energica e briosa. Proseguono con la Fantasie op.103 di Schubert. L’interpretazione sacrifica qualche tensione intimistica in favore del volo favolistico e lo scoppio fantastico, senza rinunciare a qualche momento di vero introspezione.

Qualche difficoltà nell’attacco de La valse di Ravel, il cui attacco risulta poco definito. Se in un primo momento la pax fraterna sembra essersi infranta, presto i fratelli Jussen ritrovano un percorso comune, come i fratellini della fiaba dei Grimm. Ne scaturisce una Valse tendenzialmente melodiosa e tesa a una generale dolcezza di suono, talvolta sporcata da qualche durezza. La seconda parte del concerto è interamente dedicato alla Sagra della Primavera di Igor Stravinskij: virtuosismo alle stelle, anche se mancano i colori e le sfumature della geniale orchestrazione originale. Pubblico folto e accoglienza calorosa. A fine concerto l’emozionante bis e le parole degli Jussen, in italiano: «Grazie mille».

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