L'ANALISI
17 Febbraio 2025 - 05:15
CREMONA - È uno spettacolo che sfiora i quarant’anni di vita, è uno di quei lavori che ha contribuito a definire un genere, anche se la cosa non piace al suo autore/attore/narratore, Marco Baliani che domani sera (ore 20.30) sarà sul palco del Ponchielli, interprete di Kohlhaas di Heinrich von Kleist. La storia di Kohlhaas nasce da un fatto di cronaca realmente accaduto nella Germania del 1500. Si racconta di un sopruso che, non risolto attraverso le vie del diritto, alimenta una spirale di violenze sempre più incontrollabili in nome di un ideale di giustizia naturale e terrena. «A Cremona farò la 1.153esima replica di questo lavoro che debuttò al Verdi di Milano nel 1990, ma che cominciai a presentare nelle scuole tre anni prima», dice Baliani.
Un lavoro che è diventato un classico, ma soprattutto che ha dato vita a quello che oggi viene definito teatro di narrazione.
«A segnalarmi il racconto di Von Kleist fu Remo Rostagno, offrendomi lo spunto per passare dalle fiabe che avevo frequentato nella ricerca di una riconquistata oralità del racconto, a un testo per un pubblico adulto. Facemmo tutta una serie di anteprime nelle scuole superiori, fino a che non arrivò la proposta di metterlo in scena al Verdi di Milano, in serale. E accadde quello che accadde».
Che cosa?
«Renato Palazzi del Sole 24Ore e Ugo Ronfani de Il Giorno definirono il mio lavoro come un lavoro di teatro di narrazione. Non avrei mai pensato che quella definizione mi sarebbe rimasta attaccata addosso».
Non le piace?
«Non mi piace, come non mi piacciono le definizioni perché impediscono il cambiamento e l’evoluzione. Ma certo da quanto ho fatto dopo, dal successo ottenuto da questo lavoro, sono scaturiti altri lavori e soprattutto ha preso forma quella ricerca sull’oralità e il raccontare che prosegue ancora oggi e negli anni ha assunto diverse prospettive».
Queste prospettive a cosa puntano?
«Mi interessa indagare i sensi del narrare, ovvero che cosa succede nello spettatore quando si ritrova ad ascoltare una storia, senza che ci siano immagini a corredarla. Qual è il ruolo dell’immaginazione, che tipo di legame si crea fra chi ascolta e chi racconta. Questo mi interessa da sempre e Kohlhaas è un tassello importante di questo mio ricercare».
Come è cambiato lo spettacolo negli anni?
«Si è certamente fatto più intimo, anche se forse meno energico. Di sicuro è cresciuto in sfumature e toni del raccontare e del dire. In tanti anni sono cambiato io, le mie energie non sono più le stesse del 1987 ed è anche questo un fattore di cui tener conto. Ma credo che ciò che mi caratterizza in questi ultimi tempi è l’attenzione all’ascolto del pubblico, è la riflessione su come l’altro recepisce quello che racconto e come questo influisca sul mio modo di narrare».
Non da ultimo c’è lo spazio che influisce sulla relazione e sulla narrazione. Non la spaventa il grande palco del Ponchielli?
«Lo spazio è importante tanto quanto il testo, un testo scritto che non è quello di Von Kleist e che non c’è come copione, ma vive nella mia narrazione, è solo oralità. Nello spazio, grande o piccolo che sia, ci sono io, seduto su una sedia, illuminato. Ecco, questi elementi sono determinanti. Il mio stare seduto impone allo spettatore di focalizzare la sua attenzione su di me e sulla sedia. In quella posizione i piccoli gesti, le piccole intonazioni diventano scenari, diventano elementi che sollecitano l’immaginazione. Dopo tutto se qualcosa accade in teatro è perché si crea un dialogo fra chi assiste e chi racconta».
Ha anticipato il ritorno dell’oralità, che sembra contraddistinguere la cultura contemporanea. Per confermarlo, basterebbe pensare alla proliferazione dei podcast: mi sbaglio?.
«Si tratta di un’osservazione interessante. Forse scontiamo il surplus di logos. In uno spettacolo che sto portando in giro, Quando gli dèi erano tanti, porto avanti una riflessione sul mito, una strepitosa macchina narrativa partendo dagli scritti di Roberto Calasso, prendendo in esame in particolar modo il mito di Atteone e Artemide e quello di Cadmo e Armonia. Cadmo è colui che ha portato agli uomini l’alfabeto, è a lui che si deve la fine dei racconti orali e in fondo la morte degli dèi. La scrittura ha posto fine agli dèi e ha aperto le porte alle religioni del libro, le tre grandi religioni monoteiste. Forse noi, oggi, siamo in balia di un surplus di logos, c’è bisogno di qualcosa d’altro, abbiamo bisogno di tornare ad ascoltare storie che ci intrattengano, ci facciano tornare, forse, un po’ bambini. Questo vale per il teatro, ma anche per la necessità di incontrare autori più o meno noti, ascoltarne i racconti, senza necessariamente poi leggerne i libri. Abbiamo sempre più bisogno di qualcuno che ci racconti una storia in cui credere. Alla fine siamo sempre quegli ominidi intorno al fuoco».
A margine dello spettacolo, domani alle 18 si terrà la mostra installazione ispirata alla figura di Michael Kohlhaas realizzata dalle classi 3B grafica, 4B scenografia, 5A scenografia del liceo artistico Stradivari coordinate dal professor Ferdinando Ardigò. L’esposizione sarà visitabile fino al 28 febbraio, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.30. Per scuole o gruppi: visite su prenotazione telefonando allo 0372 022012/24. Mercoledì alle 18 Marco Baliani terrà la lezione Lo smontaggio drammaturgico di Kohlhaas in cui l’attore mostra il suo metodo di lavoro per affrontare un testo, le tecniche, le dinamiche che danno vita a uno spettacolo di narrazione. Si tratta di un percorso concreto, completamente da esplorare, da indagare, su cui provarsi al confronto con il nostro essere di oggi, col nostro vivere.
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris