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IN SCENA AL PONCHIELLI

Mahler, emozione senza fine

La Filarmonica della Scala inaugura la Concertistica. Superlativo Viotti: sa innovare e insieme conservare

Giulio Solzi Gaboardi

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redazione@laprovinciacr.it

20 Gennaio 2025 - 08:42

Mahler, emozione senza fine

CREMONA - Non diremo una bestemmia affermando che, tutto sommato, al Ponchielli, l’apertura della stagione concertistica non è mai stato un momento particolarmente sentito. Certamente non un evento mondano, come in qualche modo è rimasta la prima della stagione d’opera. Eppure, ieri sera, in teatro si respirava un’aria tutta nuova. Un’atmosfera tesa e vagamente emozionata. Saranno state le luci rosse poste a colorare il colonnato d’ingresso, saranno stati i due gendarmi in alta uniforme ad accogliere il pubblico all’accesso della platea.

Sarà tutto questo o forse meno, ma certamente il grande ritorno di una pietra miliare della musica sinfonica come Gustav Mahler ha voluto la sua parte. Entrando in sala, si scorge l’immensa massa di sedie e spartiti disposti sul palcoscenico per accogliere la grande ondata di musicisti — un centinaio — che compongono l’Orchestra Filarmonica della Scala. Parliamo di uno dei complessi filarmonici più importanti del mondo, e senza dubbio il più importante del Belpaese. Uno di quei complessi musicali, per intenderci, che indossa ancora il frac (e pare un miracolo). L’immensa compagine sta stretta, sul palco.

Lorenzo Viotti ieri sera sul podio

Non si riscontrano, tuttavia, durante il concerto, problematiche relative all’acustica, malgrado l’ampiezza della compagine orchestrale: il suono risulta sempre uniforme e ben distribuito. L’accordo degli strumenti — momento topico per ogni orchestra, che precede l’ingresso del direttore — è un istante di rara magia. L’ingresso dei musicisti e del direttore è salutato da un lungo applauso. Il pubblico, tra l’altro, è assai folto: tutto esaurito, palchetti e loggione straboccanti. Insomma, Mahler ci parla ancora. E in particolare questa Sesta Sinfonia, tanto ostica quanto meravigliosa, con il suo incedere così ferocemente narrativo. La lotta dell’uomo col suo destino. Disperazione, pace, tristezza e felicità: nella Tragica — così venne ribattezzata, non da Mahler, la sua Sesta Sinfonia — c’è tutto questo.

La direzione di Lorenzo Viotti si distingue per una gestualità certo poco convenzionale e vagamente istrionica, ma a conti fatti decisamente efficace: l’orchestra suona con splendente uniformità e sembra rispondere perfettamente alle intenzioni del giovane direttore. Sciocco sarebbe credere che il lavoro si Viotti si esaurisca nella direzione (anche perché i filarmonici scaligeri non hanno certo bisogno di metronomi che diano il tempo): anzi, il principale impegno è quello della concertazione di siffatto capolavoro, con tutte le sue complessità.

Con maniacale precisione, dunque, Viotti particolareggia i suoni, richiede attenzione sugli accenti. Manovra con sicurezza le dinamiche e si spinge nelle agogiche ora col furore dell’eroe che affronta il gran destino universale, ora con la pacatezza e la dolcezza di un filo di vento che accarezza un paesaggio naturale o di un cielo terso, accentuando i contrasti chiaroscurali di cui la partitura è frastagliata. Ricordiamo che Viotti ha trentaquattro anni.

E mentre direttori ottantenni, pur di non mollare la bacchetta, restano ancorati a un modo di far musica polveroso e ormai ampiamente superato, questa nuova generazione di musicisti — di cui Viotti non solo fa parte per età anagrafica, ma anche e soprattutto per energia e intuito — affronta i grandi mostri della Musica con passione, ardore e coraggio infiniti, e pure con tecnica, sapienza, capacità di rinfrescare, conservare e al contempo emozionare. Proprio Mahler pronunciò la frase che dovrebbe essere il mantra di ogni artista: «La tradizione non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco». Ieri, il fuoco, si è visto. O meglio, si è sentito.

Si è visto e sentito nella musica e, ancor più, nel silenzio. Quel lungo silenzio che ha seguito le ultime battute della partitura, con i musicisti immobili, statici, estatici, prima che il pubblico potesse sfogarsi in un applauso scrosciante. Liberatorio: l’uomo non avrà vinto il destino, ma non ne è nemmeno rimasto schiacciato.

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