L'ANALISI
02 Dicembre 2024 - 09:20
CREMONA - «Quando un musicista ride», che cosa accade? Se poi si aggiunge che a ridere o a instillare la risata sarà Elio, l’imprevisto è dietro l’angolo, ma anche la comicità dai toni surreali e colti va in scena. L’appuntamento con ‘Quando un musicista ride’ è fissato per mercoledì sera alle 20.30, secondo appuntamento del cartellone di prosa del Ponchielli. Ad affiancare il cantante e attore sarà un gruppo di giovani musicisti: Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Matteo Zecchi al sassofono e Giulio Tullio al trombone.
Che cosa succede ‘Quando il musicista ride’?
«La risposta più ovvia sarebbe quella: venite a teatro e lo scoprirete».
E quella meno ovvia?
«Vedere dove sta la genesi di questo titolo che è un omaggio a Enzo Jannacci e alla sua verve di musicista surreale e comico».
Da qui nasce lo spettacolo?
«In realtà ‘Quando un musicista ride’ ha una sua origine in un altro spettacolo che ho realizzato con Giorgio Gallione dal titolo Ci vuole orecchio, spettacolo che ha girato per tre anni».
Un omaggio a Jannacci?
« Enzo Jannacci era a scuola con mio papà. La sua musica era di casa e mio papà mi raccontava di questo compagno divertente e ironico. Io sono sempre stato affascinato dal suo stile surreale».
Ed Elio e le storie tese devono un poco a questa fascinazione infantile?
«Non c’è dubbio. Quello stile e quel modo di intendere la musica e le canzoni mi è restato appiccicato addosso, facendo le debite differenze».
Tornando a Ci vuole orecchio?
«Ad un certo punto ho chiesto a Giorgio Gallione con cui avevo messo in scena Il Grigio di Giorgio Gaber di condividere questo mio desiderio di raccontare Jannacci. Lo spettacolo ha girato per tre anni».
Ora è la volta di Quando un musicista ride.
«Ho voluto allargare il mio sguardo, pur partendo sempre da Jannacci, ma affrontando anche brani di Giorgio Gaber, dei Gufi, di Cochi e Renato costruendo uno spaccato degli anni Sessanta e Settanta fino ad arrivare ai primi anni Ottanta. A distanza di anni, oggi che ho sessant’anni, mi rendo conto quanto quegli artisti fossero avanti, rappresentassero un’allegra avanguardia».
Il pubblico come reagisce?
«Beh, mi divertono alcuni sguardi stupiti, magari di fronte ai testi di Clem Sacco, antesignano del rock demenziale e che scriveva cose pazzesche. Un po’ affrontando questi autori ritrovo le radici di quanto si è fatto con Le storie tese».
Non si rischia l’effetto nostalgia?
«Per evitare questo, ho scelto testi che potessero risuonare ancora oggi. In più casi ho avuto la sensazione di essere al cospetto di pezzi classici, ossia in grado di parlarci ancora oggi».
Il pubblico sta al gioco, dunque?
«È stupito e divertito e credo che questa occasione possa rappresentare un’opportunità recuperare un mondo che non c’è più. Certe volte però ho l’impressione che chi trenta o quarant’anni fa andava a sentire Jannacci o Gaber fosse più aperto, più disposto ad accogliere le novità. Oggi non è più così. Si avverte nel pubblico una certa rigidità a uscire dagli schemi. È come se ci si accontentasse di prodotti rassicuranti. Ci siamo abituati a mangiare patatine e hot dog e quando ci propongono qualcosa di più raffinato o nuovo, abbiamo qualche resistenza. Ma il mio pubblico ideale sono i bambini».
I bambini?
«Certo ed è per questo che durante lo spettacolo leggo due fiabe. La capacità di reazione dei bambini è unica, senza sovrastrutture. Sono loro il mio pubblico ideale. Sanno darti energia con le loro risate».
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