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IN SCENA AL PONCHIELLI

«L’amore vince sulla morte»

Venerdì 29 e domenica1 dicembre Pasqualetti dirige Andrea Chénier di Giordano: «Il pubblico si lasci trasportare dall’emozione»

Giulio Solzi Gaboardi

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redazione@laprovinciacr.it

29 Novembre 2024 - 11:34

«L’amore vince sulla morte»

Il direttore Francesco Pasqualetti

CREMONA - Dopo il grande successo riscosso al teatro Grande di Brescia la scorsa settimana, arriva anche al teatro Ponchielli, come terzo titolo della stagione d’opera, Andrea Chénier di Umberto Giordano. Un’opera monumentale di suadente ispirazione storica, ambientata negli anni della Rivoluzione francese. Sul podio, a dirigere l’Orchestra i Pomeriggi musicali di Milano, Francesco Pasqualetti, che racconta la sua visione dell’opera. Andrea Chénier andrà in scena oggi alle 20 e domenica alle 15.30.

Maestro, lo Chénier è spesso percepito, o per lo meno raccontato, come un’opera scritta in modo poco aggraziato, non sempre felicissimo. Lei cosa ne pensa? E crede che ci sia un modo, per un direttore, per intervenire su questa partitura?
«Rispondo con una battuta: se fossi Toscanini, avrei il potere di cambiare un po’ l’orchestrazione. Ho avuto dimostrazione che Toscanini l’ha fatto con Mefistofele di Boito. Quando l’ho diretto due anni fa a Piacenza, la mia partitura — autografa — era diversa da quella degli orchestrali, influenzata da alcuni raddoppi aggiunti da Toscanini. Giordano scrive Chénier a ventotto anni: a volte l’orchestrazione risulta quindi ridondante. È un’opera che trasuda vigore, vitalità, ma soprattutto la voglia di aderire ad ogni sfumatura di parola. E del resto, ci sono periodi storici diversi, in cui l’opera viene amata e altre in cui viene un po’ malconsiderata».


E nel nostro tempo, secondo lei, come viene considerata quest’opera? A Cremona e in tutto il mondo si vive la Renaissance del barocco, e quindi di una musica aggraziata e raffinata, e d’altra parte i tempi che viviamo ci avvicinano a un’opera come Chénier che racconta la violenza.
«Credo sia importante lasciarsi trasportare dall’emozione. Ciò non esclude la cura del dettaglio e della linea musicale. A volte si ha paura di questi titoli, ma credo che gli amanti della lirica godano nel ritrovare le melodie di queste opere. In Chénier, in fondo, troviamo melodie complesse e solo in alcuni squarci semplici: in filigrana c’è uno straordinario lavoro psicologico».

Autori dimenticati: Giordano, Mascagni, Leoncavallo. Tutti autori di cui ricordiamo una sola opera: Chénier, Cavalleria, Pagliacci. Eppure Giordano ha scritto opere come Fedora e Siberia. Non è interessante che appartengano tutti alla stessa fase storica?
«Mi sembra che l’Italia viva con senso di colpa quel periodo storico. Poco dopo sono arrivate le avanguardie e hanno imposto un altro modo di vedere la musica. Eppure parliamo di grandi compositori e sempre di grande musica».

Il libretto è di Luigi Illica, il più importante librettista di quegli anni, basti pensare alle collaborazioni con Giacomo Puccini...
«Un lavoro di grande esattezza storica e meticolosissimo nelle didascalie. Del personaggio di Gerard sappiamo che viene preso in giro perché scoperto a leggere Rousseau. Fatto di cui non si fa cenno nell’opera».


Anche Giordano compie una significativa ricerca storica.
«Assolutamente. Nell’opera troviamo le gavotte settecentesche nel primo atto e dal secondo i canti rivoluzionari come la Carmagnola».


Ma ascoltando Chénier sembra che la musica stessa racconti la Rivoluzione.
«Giordano sa che questa è la sua occasione d’oro e lui stesso vuole essere rivoluzionario, ad esempio non inserendo alterazioni in chiave. Vuole dire la sua fino in fondo».

Andrea Chénier gode (o soffre) di una lunga tradizione esecutiva. Come vi si è rapportato?
«Parliamo di una partitura molto avara di indicazioni. Giordano dà grande fiducia all’interprete, e quest’ultimo deve insistere sul senso della parola. Ciò che ho scoperto lavorando su Chénier è che è un’opera che ha una struttura quasi contemporanea: i temi di amore e morte si costruiscono su quattro toni discendenti: il mondo che crolla. Ma l’amore è un tono sopra, e dunque vince sulla morte («La nostra morte è il trionfo dell’amor»). Queste sottigliezze non sempre sono visibili ma arrivano direttamente nell’anima dello spettatore».

Un invito al pubblico? Perché non perdersi questo Chénier?
«Oggi vanno di moda i film storici. Chénier è come un film storico ma con la magia dell’opera dal vivo».

Sabato alle 17 all’Osteria del Fico presenterà il suo romanzo storico ‘La regina della notte’, ambientato proprio negli anni della Rivoluzione.
«Il libro nasce da un’idea di dieci anni fa e ha trovato una felice coincidenza quando mi hanno chiamato a dirigere Chénier. Entrambi sono ambientati in un’epoca storica che ho studiato tanto, anche con viaggi fino ad Harvard per consultare libri introvabili. Racconto cose vere e cose ‘dimenticate’: supposizioni quasi complottistiche che non mi stupirebbe se, tra qualche anno, si rivelassero reali».

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