L'ANALISI
TANTA ROBBA FESTIVAL
04 Settembre 2024 - 14:38
CREMONA - «Salire sul palco e schiacciare ‘play’ su una base è come proporre ogni sera uno standard sempre uguale, come l’hamburger del fast food. Io preferisco le tagliatelle della nonna». Faso, storico bassista di Elio e Le Storie Tese, sintetizza in una frase tutto l’amore della band per la musica suonata dal vivo. Dopo un concerto acclamatissimo tenuto al Teatro Ponchielli lo scorso novembre, la formazione milanese più folle e funambolica della musica italiana torna in città venerdì alle ore 21 in piazza del Comune con una nuova data del tour Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo, uno show in cui il gruppo, su una scenografia studiata nel dettaglio, saprà raccontare il nostro tempo in modo ironico e dissacrante.
Faso, ma non vi dovevate sciogliere?
«Lo scioglimento era stato attuato nel 2017, poi è arrivato il Covid e noi non pensavamo di tornare a suonare. Bisogna dire grazie al Trio Medusa che ci ha coinvolto con il primo Concertozzo, una festa che ci ha dato un tale entusiasmo da spingerci a tornare a suonare del vivo. E così abbiamo fatto».
Oggi quanto conta il divertimento quando siete sul palco?
«Continua a contare tantissimo. Come sempre è stato. E io mi reputo fortunato come i miei compagni di gruppo per questo. La nostra è una condizione di band in cui persone che si stimano stanno insieme con enorme piacere. È una grande fortuna perché suonare è, già di per sé, bellissimo».
Al Ponchielli fu un trionfo. Cosa ci dobbiamo aspettare stavolta?
«Sarà una versione estiva dello show teatrale e con noi ci saranno due giovani batteristi che, per queste date, sostituiscono Christian Meyer. Il tour estivo non era previsto e Christian aveva già alcuni impegni presi, così ci siamo messi a fare provini come una volta e abbiamo reclutato non uno ma ben due straordinari musicisti per la batteria e le percussioni: insomma, un musicista in più sul palco e una carica ritmica notevolissima. Chi è venuto a sentirci quest’inverno potrà ascoltare delle versioni dei brani ancora più tirose!».
Come si sente un musicista nato e cresciuto con lo strumento a tracolla in un momento in cui i concerti sono più che altro performance, gli strumenti musicali sono spariti dai video, e la classifica italiana è dominata da nomi quasi tutti italiani e l’uno similissimo all’altro?
«È una situazione stagnante e che presenta un’anomalia mai verificatasi prima: oltre a un circolo ristretto di artisti, è preoccupante che in classifica nei primi 20 posti ci siano 20 pezzi uguali. Stesso sound, stesso modo di cantare. Non è mai successo prima. Non c’è varietà, ma nessuno se ne allarma. Tutti lo farebbero se invece in tv, alla stessa ora, trasmettessero solo film western. Magari bellissimi, ma tutti western. La musica ora è in questa fase, come se ci fossero solo film dello stesso genere. Per me, vi dico, è una immensa rottura di maroni. Non si vedono più persone che suonano, ma è vero anche che quelli che suonano fanno qualcosa di speciale sul palco. È come andare a vedere degli acrobati: gente che canta e che suona veramente! Io inorridisco, prima ancora che per le basi pre-registrate ai concerti, per la comparsa del gobbo dei testi sul palco di cantanti che dovrebbero farne a meno. Per salire sul palco devi essere preparato, conoscere i pezzi, averli provati. Implica ovviamente un grande lavoro, e molti dei nuovi nomi che si affacciano al mondo della musica, semplicemente, non hanno idea di come si faccia perché non sono abituati a suonare con dei musicisti».
Pensa anche che rispetto al passato ci sia meno scambio musicale fra generazioni?
«Su quel fronte specifico io sono più possibilista, perché io stesso non ascolto tutte le cose nuove che escono. I ragazzi però secondo me non disdegnerebbero anche musica dal passato. Ci sono cose meravigliose, altrimenti non capiremmo il perché di vecchi campioni - e penso per esempio alla musica di Stevie Wonder risalente a 35 anni fa - che spunta dentro a brani nuovi. Se i ragazzi non possono accedere a quelle canzoni, allora non sapranno mai che quella musica esiste. In generale, manca la proposta di un ventaglio più ampio. Ai più giovani bisognerebbe dare almeno questa opportunità».
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