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I GIORNI CANTATI 1974-2024

Dai campi e dalle officine la voce popolare... resiste

Ha 50 anni: Tavoni fra ricordi memorabili e incontri straordinari. «E adesso il gruppo attira anche i giovani»

Fabio Guerreschi

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fguerreschi@laprovinciacr.it

15 Agosto 2024 - 13:00

Dai campi e dalle officine la voce popolare... resiste

il gruppo di Calvatone in scena a Pessina Cremonese in occasione della festa per i cin- quant’anni del gruppo di canto popolare che è stato fondato nel 1974

CALVATONE - Cinquant’anni di attività, di chilometri e di pura passione per diffondere e tutelare il patrimonio del canto popolare della pianura lombarda ed emiliana, del canto di protesta e del canto politico. Una missione che ha portato I Giorni Cantati a calcare tanti palcoscenici, dalle feste dell’Unità alle università, per presentare la purezza del canto tradizionale ‘come si faceva una volta’ nei campi, nelle fabbriche e nelle osterie della Bassa Padana. Cinquant’anni costellati da almeno mille concerti, da tanti applausi e dai riconoscimenti più diversi: dall’anziana del paese che riconosce i canti della sua giovinezza e si commuove ai docenti universitari che celebrano quella autenticità che sta svanendo, quella purezza e spontaneità d’interpretazione che come una gemma preziosa va conservata e preservata.

Cinquant’anni festeggiati pochi giorni fa con una grande festa a Pessina Cremonese – il paese dove il gruppo effettua le prove, anche se I Giorni Cantati sono nati a Calvatone – diventata un grande omaggio a tutto quello che hanno fatto in cinque decenni di attività. Nati nel 1974, un periodo ricco di cambiamenti, conflitti sociali e culturali e di fermenti politici, I Giorni Cantati sono figli delle esperienze nate a Piadena, quel ‘laboratorio a cielo aperto’ che ha prodotto Mario Lodi, il Gruppo Padano e la Lega di Cultura e che ha stretto rapporti fecondi e duraturi con personalità quali Gianni Bosio e Dario Fo.

Giovanna Marini, Dario Fo e I Giorni Cantati in concerto nel 2006


Com’è iniziata questa avventura?
«Nel 1965 ho iniziato a lavorare nella ditta Bianchi di Piadena – racconta Enrico Tavoni, l’unico cantore sempre presente nei cinquant’anni di storia del gruppo – dove lavoravano anche Delio Chittò, Amedeo Merli (i futuri Duo di Piadena, ndr) e Policarpo Lanzi, cioè tre membri su quattro del Gruppo Padano (il quarto era Sergio Lodi, ndr). Il giorno di Sant’Antonio organizzano la tradizionale cena per onorare il santo e iniziano a cantare. Canti a cui mi aggrego anch’io. In quegli anni ogni occasione era buona per cantare, anche perché cantare era un’abitudine piuttosto diffusa. Si cantava mentre si lavorava e si cantava soprattutto nelle osterie. Noi giovani portavamo le canzoni del nostro periodo – ed erano prevalentemente le canzoni della cosiddetta musica leggera -, mentre gli anziani quelle della tradizione ed era consuetudine che loro avessero la precedenza: prima cantavano loro, poi toccava a noi. Spesso però noi ci univamo a loro nel cantare le canzoni del repertorio popolare, era anche un modo per impararle e trasmettere oralmente queste canzoni alle nuove generazioni».


Poi quindi sono arrivati I Giorni Cantati?
«Nel 1972-1973 eravamo un gruppo informale di amici, ma già piuttosto consolidato. In quegli anni all’oratorio di Calvatone si era costituito un movimento culturale giovanile guidato dal docente Gianluigi Martinelli. Qualcuno di loro chiede di incontraci – noi eravamo il gruppo legato al Partito comunista italiano – e nasce un’intesa politica e culturale. Tant’è che con Gianluigi decidiamo di organizzare la mascherata di Carnevale del 1974 - una rappresentazione in costume – dedicandola alla situazione politica attuale con personaggi come l’operaio, il militare, il prete, il cittadino, tralasciando le tradizionali maschere di Carnevale. Era un periodo piuttosto ‘caldo’ politicamente, perché il 12 maggio del 1974 ci sarebbe stato il referendum sul divorzio e gli schieramenti politici erano molto netti e agguerriti. Al termine della mascherata, verso mezzanotte, arriviamo a Piadena. Qualcuno va a ballare alla Sala Astor, mentre io e altri andiamo al Cafetin, il bar della sinistra piadenese. Incontro Giuseppe Morandi della Lega di Cultura. Ci chiede di rifare la mascherata nel bar e alla fine ci chiede se ci va di aggregarci alla Lega per lo spettacolo teatrale ‘Piadena, un paese della Pianura Padana’. Lo spettacolo era intervallato dalle canzoni di Eugenia ‘Genia’ Arnoldi, la mamma dell’altro fondatore della Lega, Gianfranco ‘Micio’ Azzali, con Bruno Fontanella e Giulio Seniga. Così ci aggreghiamo a loro e debuttiamo in un cinema di Modena il 9 marzo del 1974. Dopo la serata Morandi ci propone di proseguire la collaborazione. Abbiamo discusso molto, questa scelta cambiava la nostra prospettiva. Alla fine abbiamo deciso di andare avanti, di darci un nome e dopo cinquant’anni siamo ancora qui».

I Giorni Cantati festeggiano i primi trent’anni di attività con altri gruppi di canto popolare


Un passaggio, per voi, che significava passare dal cantare per puro intrattenimento al cantare con uno spessore sociale e culturale che prima non c’era?
«Sì, entrare nella Lega di Cultura è stato un passaggio importante, perché il nostro ruolo cambiava: ci ha fatto capire l’importanza sociale, culturale e politica del canto popolare in un momento di grandi trasformazioni sociali ed economiche. Siamo così diventati i ‘puri’ del canto popolare e per questo abbiamo deciso di togliere l’accompagnamento musicale che avevamo per diventare un gruppo solo di voci, come vuole la tradizione del canto popolare. Cantare, per noi, è diventato un mezzo per fare cultura».

Come sono stati questi cinquant’anni?
«Abbiamo avuto i nostri alti e bassi. Nel periodo che va dal 1983 al 1993 abbiamo rallentato. Ero diventato il punto di riferimento del gruppo, ma avevo cambiato lavoro e diventando funzionario del Pci, avevo meno tempo da dedicare all’attività del gruppo. Ma all’inizio del 1993 siamo stati invitati all’Università di Urbino per festeggiare l’ottantesimo compleanno della Genia e in quell’occasione si era unito al gruppo Fontanella – che ancora oggi, a 84 anni fa parte del gruppo –: un ingresso fondamentale come prima voce, con la sua voce straordinaria e la grande esperienza. Da quel momento siamo ripartiti e negli ultimi quindici anni abbiamo avuto una media di 30-35 concerti all’anno».


Anche Genia Arnoldi è stata importante?
«Fondamentale direi. Un patrimonio di conoscenza che ha cantato con noi fino al 2001 quando aveva 87 anni. Inoltre dopo di lei, e per la prima volta, sono entrate nel gruppo le voci femminili che hanno portato una nuova modalità nel canto, anche se all’inizio non è stato facile amalgamarle con le voci maschili. Anche perché noi non siamo un coro, cioè non abbiamo le voci organizzate e coordinate, ma siamo un gruppo dove il canto è spontaneo».


Anche numericamente siete sempre cambiati?
«Adesso siamo in tredici, all’inizio eravamo in sette-otto, ma siamo stati anche in quattro. Negli ultimi anni sono arrivati anche alcuni giovani come Camilla Malaggi, entrata a 18 anni, e Maurizio Corda, entrato che aveva meno di 30 anni. Siamo sempre stati un gruppo ‘aperto’, appunto perché la spontaneità d’esecuzione aiuta in questo senso».

Avete una scaletta standard? E anche lei ha composto alcuni canti?
«La nostra scaletta cambia ogni volta, non ne abbiamo mai fatta una uguale all’altra, perché la adattiamo alle situazioni. Abbiamo 200 canzoni in repertorio tra canti della tradizione, politici, di protesta. Ci sono anche alcune mie composizioni, come ‘A Gaza c’è il mare’. A volte parto dal testo, a volte da una melodia, sono il risultato delle mie conoscenze e dei miei ascolti».

Al centro Enrico Tavoni, Dario Fo e Franca Rame in occasione dell’ottantesimo compleanno del Premio Nobel


Quanti momenti memorabili ci sono stati in questi cinquant’ anni?
«Tanti e belli. Come la partecipazione all’Università La Sapienza di Roma dell’ottantesimo compleanno di Dario Fo. La serata la organizzò Giovanna Marini e ci invitò insieme a Paolo Pietrangeli e Fausto Omodei. In quell’occasione si era unito a noi anche Delio Chittò che, a un certo punto, improvvisò con Fo ‘Ho visto un re’. C’è stato anche il Recitarcantando. Nel 1976, la prima edizione, eravamo in cartellone. Era una serata sui canti popolari in piazza del Comune a Cremona con la Lega di Cultura e con I Giorni Cantati. Una scelta che aveva preso di sorpresa anche noi e ci chiedevamo: ‘ma chi vuoi che venga a sentirci?’. Alla fine abbiamo cantato davanti a duemila persone. Prima canzone: gelo assoluto della platea. Poi i primi timidi applausi, poi a scena aperta. Ho scoperto poi che la maggioranza del pubblico arrivava dai paesi. La recensione su La Provincia però stronca lo spettacolo, parlando di un’esibizione scandalosa, prendendo a pretesto le voci sgraziate dei cantori. In realtà, credo, aveva dato fastidio che nel salotto buono della città si fossero esibiti operai, contadini e manovali. Quella serata la considero la nostra Spoleto - quando ci fu lo scandalo legato allo spettacolo ‘Bella Ciao’ - una performance che ha rotto una tradizione. Un altro bel ricordo è quando abbiamo cantato sugli autobus di Roma. Pietrangeli, che è stato assessore nella giunta Rutelli, introdusse nella Capitale i primi bus ecologici. Ci invitò alla presentazione, noi salimmo sui bus e cantammo durante le corse dei mezzi. Poi il Festival del Cinema di Locarno. Ci andammo nel 1999 e nel 2001. Alla serata finale - con 15mila persone in piazza, diretta sulla tv svizzera e cena con Paolo Villaggio -, non dovevamo esibirci, ma il direttore artistico Marco Müller si inventò un fuori programma e ci spinse sul palco per cantare ‘Domani l’è festa’, mentre litigava ferocemente con il regista televisivo della diretta».


Ci sono stati anche gli inviti delle università?
«Sì, la Sapienza di Roma, per esempio, ci ha invitato nel 2002 e abbiamo cantato davanti a 500 studenti. Prima c’era stato Urbino. Era il 1975 e andammo nella città marchigiana per un concerto. Arrivati, fummo accolti da disegni sparsi in tutta la città e fatti a mano dagli studenti universitari. Era stato il loro modo per darci il benvenuto. Poi c’è stato Bernardo Bertolucci con ‘Novecento’. Prima di iniziare le riprese del film era venuto alla Lega di Cultura per farsi aiutare nel cercare luoghi e comparse. Ci aveva sentito cantare e poco dopo ci chiamò proprio per fare le comparse e per cantare. Nella scena dell’uccisione del maiale cantiamo ‘Quando bandiera rossa si cantava’ e siamo ripresi in primo piano. Ci siamo io, la Genia e Angelo Anghinoni. Un’esperienza e indimenticabile».

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