L'ANALISI
10 Agosto 2024 - 09:52
Cristiano Gualco e la Nebulosa di Orione
CREMONA - Quel tornar a riveder le stelle, dopo il buio dell’Inferno, è uno dei regali della letteratura universale allo stupor mundi a cui l’animo umano è piacevolmente soggetto. Uno stupor dell’universo, dell’infinitamente grande che nella notte di San Lorenzo – la notte delle stelle cadenti – si compie nel segno dei desideri, termine che nella sua etimologia contiene – non a caso – il termine stella. Suggestioni che rischiano di diventare una piacevole ossessione. E a questa considerazione sorride Cristiano Gualco, violinista del Quartetto di Cremona, che delle stelle e dell’infinita bellezza del cosmo subisce il fascino. Chi getti un occhio al suo profilo Facebook o alla pagina Instagram si imbatte in una serie infinita di nebulose, galassie, stelle descritte con la precisione di un astronomo, sinfonia di colori che mette in secondo piano la musica. A questa considerazione Gualco sorride e sfodera l’iPhone con una galleria infinita di foto stellari.
Come ha inizio questa sua passione?
«Come tutte le passioni vere, compresa quella per la musica, parte da lontano, dall’infanzia. Io ho sempre adorato la fantascienza e la scienza. La scienza mi ha sempre incuriosito, soprattutto quando parlava di spazio. Sono un fan di Star Trek, che mi ha permesso di immaginarmi viaggi alla scoperta di pianeti lontani».
Viaggi che ora può fare osservando e fotografando il cielo?
«La fantascienza prima, poi la scienza e nel mentre la musica che al linguaggio della matematica si rifà per certi versi e poi la fotografia: tutto ha avuto origine in una notte di eclissi di luna con la complicità di un amico che mi ha prestato un binocolo per guardare la luna, un banalissimo binocolo. È bastato questo perché mi si aprisse un mondo. Simone (Gramaglia, violista del Quartetto di Cremona) mi ha poi prestato il telescopio che usava da bambino: insomma è stato complice di quella che è diventata la mia gradevole ossessione».
Questo è stato l’inizio, ma come è passato dalla scoperta al desiderio di fotografare la volta celeste?
«Quella visione della Luna mi ha riportato a quando ero bambino e ragazzino, a quelle passioni infantili che per anni sono silenti, ma prima o poi sono destinate a riemergere. E così è stato. Mi sono comprato, dopo un mese e mezzo da quella visione lunare col binocolo, un telescopio più serio, un telescopio grosso, metallico, un po’ più stabile, ma sempre amatoriale. È stato l’inizio. In seguito ho cercato attrezzature adeguate, poi ho scoperto che a Genova c’era un gruppo di astrofotografi e anche visualisti. Questi si limitano a guardare la volta del cielo, gli altri ne vogliono catturare la bellezza. È stato un accordatore che si occupa del mio violino a iniziarmi all’astrofotografia, segnalandomi il sito della Nasa. E come sempre nelle cose che faccio, mi sono buttato a capofitto, senza risparmiarmi, acquistando l’attrezzatura necessaria per fare astrofotografia. È una strumentazione che annulla il movimento apparente del cielo, il tutto per conquistarmi un pezzo di universo dal terrazzo di casa. Poi è scoppiata la pandemia».
E così l’astrofotografia ha preso il posto della musica?
«No, ma certo ho avuto il tempo di impratichirmi, di studiare la strumentazione che avevo acquistato, fino al maggio del 2020, la prima volta in cui ho incontrato il gruppo di astrofotografi e abbiamo fatto la prima uscita, su una collina vicino a Genova. Ho incontrato persone appassionate che mi hanno dato consigli e così è iniziato il mio percorso di apprendistato, sia per imparare a gestire l’attrezzatura, sia per fare la post produzione delle foto, che è una cosa molto complessa. Alla fine di una nottata di foto, tu hai un file nero in cui si vede solo qualche stella. È come quando si guarda il cielo a occhio nudo, però siccome il file è la somma di tanti altri file dove il segnale dell’oggetto è sempre nello stesso punto, con photoshop e anche con altri strumenti diciamo più dedicati, si riesce a recuperare il segnale, a tirarlo fuori dalla foto, recuperando i segni luminosi delle stelle, È un processo lungo, ma affascinante anche per le sorprese che ti può riservare».
Tutto ciò richiede tempo e lunghe sedute notturne.
«E ben capisce che per chi come me suona, risulta difficile trovare il modo di continuare a coltivare questa mia vocazione stellare. Certe volte mi chiedo perché lo faccio», afferma sorridendo.
E che risposta si dà?
«La bellezza dell’universo e il piacere di confrontarsi con l’immensamente grande. Ma per potermelo permettere la quadratura celeste deve essere al limite dell’eccezionalità. Si può rubare la bellezza del cielo notturno quando non c’è la luna, quando il tempo è bello e io non suono: sono i presupposti per regalarmi una notte stellare. Ma non capita spesso».
Che cosa l’affascina di queste notti passate a interrogare la volta celeste?
«Banalmente, impari a relativizzare, io mi rilasso e ciò mi permette di dare il giusto peso alle cose. Guardi il cielo e percepisci quanto piccolo sei. All’inizio ho avuto l’ebbrezza reale di viaggiare nello spazio. Mi sembrava, con telescopio e macchina fotografica, di poter veramente attraversare il cosmo. Ogni parametro umano salta. Basta pensare alla stazione internazionale che per rimanere in orbita si ritrova a viaggiare a 30mila chilometri all’ora. Una velocità notevole ma che non è nulla se la si raffronta con il fatto che per raggiungere la stella più vicina a noi, Apha Centauri, dovremmo viaggiare oltre quattro anni alla velocità della luce. Ma al di là di questo, mi colpisce è il privilegio che abbiamo nell’essere consapevoli di questa immensità. Giove può contenere il nostro pianeta, la Terra è un granello di sabbia nell’immensità, ma noi di ciò abbiamo il privilegio, o la condanna di esserne consapevoli. Quando mi chiedono se per me fare astrofotografia sia come astrarmi dalla realtà, rispondo che è l’esatto contrario: è una presa di coscienza della realtà».
Ha avuto anche la soddisfazione di vedere pubblicate alcune suo foto dalla Nasa…
Sorride e confessa con un po’ di pudore la soddisfazione, mostrando due scatti di nebulose: «Sul portale della Nasa viene pubblicata una fotografia al giorno di stelle, galassie, realizzate non necessariamente da professionisti. È accaduto anche a due mie foto di avere questo privilegio. Nella prima ho immortalato una nebulosa oscura, formata da polveri che si estendono per anni luce, la nebulosa è a forma di pesce e viene chiamata il pesce marcio. La seconda foto è piaciuta per i colori ed è il risultato di un’esplosione di una stella».
In tutto ciò la musica che spazio ha?
«Se penso solo alla questione del tempo nella musica e alle frazioni matematiche che si usano nel dare il ritmo, mi stupisco di come da un linguaggio così preciso e costrittivo si riesca a far uscire emozioni e pensiero al tempo stesso. È quanto accade anche per l’osservazione delle stelle, la combinazione di materiali chimici, ossigeno, idrogeno danno vita a immensi e coloratissimi mondi pieni di bellezza. Non è un caso che la sezione aurea accomuni la forma delle galassie, ma anche alcuni componimenti musicali. Le regole della realtà sembrano costanti sia per l’immensamente grande, sia per l'immensamente piccolo. Ecco, questo mi regala la volta celeste. C'è chi va in palestra per resettare la mente, io lo faccio nelle lunghe notti passate a scrutare le stelle e mi rigenero».
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