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IL QUARTETTO DI CREMONA

Stauffer: «Genovesi, ma cremonesi. E ci sentiamo come Sinner»

Docenti in Accademia, i pluripremiati Gualco, Andreoli, Gramaglia e Scaglione festeggiano 25 anni di attività

Giulio Solzi Gaboardi

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redazione@laprovinciacr.it

09 Giugno 2024 - 10:43

Stauffer: «Genovesi, ma cremonesi. E ci sentiamo come Sinner»

Cristiano Gualco (violino), Paolo Andreoli (violino), Simone Gramaglia (viola), Giovanni Scaglione (violoncello)

CREMONA - Il futuro dell’Accademia Stauffer è rappresentato da quattro volti freschi, quelli del Quartetto di Cremona, fondato da quattro genovesi nel 2000 e che ormai si avvicina al venticinquesimo anniversario dalla sua nascita. Cristiano Gualco (primo violino), Paolo Andreoli (secondo violino), Simone Gramaglia (viola), Giovanni Scaglione (violoncello): una squadra unitissima che negli ultimi anni sta raccogliendo successi internazionali nelle più prestigiosa sale da concerto di tutto il mondo, rinnovando la tradizione del quartetto d’archi italiano. Parlare con loro, tra sorrisi e e risate, ci mostra l’aspetto umano, oltre che professionale, che lega tra loro quattro musicisti intelligenti, saggi nelle loro scelte e nei loro metodi di insegnamento e di esecuzione, ma soprattutto energici, con la voglia di fare musica viva.

Da quale stagione siete reduci e cosa vi aspetta nelle prossime settimane?
Gualco: «Siamo appena tornati da Londra, dove abbiamo suonato L’arte della fuga. Avremmo dovuto suonare a Roma nei giorni scorsi, ma il concerto è stato annullato due volte a causa delle proteste degli studenti». Scaglione: «Abbiamo in programma un concerto a Mendrisio, a Schwarzenberg, suoneremo la Schubertiade e il Quintetto di Dvorak con Till Fellner, a settembre saremo a Praga e a ottobre ricominceremo il nostro tour de force».

A breve festeggerete i vostri (primi) venticinque anni.
Gramaglia: «Festeggeremo con tantissime attività. Saremo testimonial di Brunello Cucinelli. Per la prima volta saremo vestiti da un importante stilista. 25 anni con il botto! Suoneremo negli Usa, Corea, Giappone, Spagna, Olanda».

Ricordiamo come nasce il Quartetto?
Gualco: «Siamo nati nel 2000 in seno all’Orchestra da Camera Italiana. Paolo Andreoli non c’era ancora, mentre Giovanni Scaglione era allievo della Stauffer. Abbiamo avuto la fortuna di trovare Paolo e Giovanni, anch’essi genovesi. Siamo diventati un Quartetto atipico: tutti genovesi, ma portiamo il nome della città di Cremona. Per noi è stato fondamentale formarci con Hatto Beyerle e Piero Farulli, che ci hanno insegnato cosa significa suonare in quartetto».

Come vi vedete tra dieci anni?
Gualco: «Spero che saremo ancora qui a suonare! Abbiamo grandi esempi come il Quartetto Emerson, che ha fatto 47 anni di carriera, lasciando un’eredità immensa ai quartetti nel mondo. Speriamo di rinnovare la tradizione del quartetto in Italia, operazione iniziata da Quartetto Italiano con Farulli e proseguita da noi». Scaglione scherza: «Io sarei già felice di esserci!». Gramaglia: «Siamo tutti sui cinquanta… Tra dieci anni, ne avremo sessanta. Vorremmo finire in gloria. Da ciò che ci viene riconosciuto, stiamo vivendo il nostro apice: dopo la pandemia abbiamo debuttato al Lincoln Center, subito dopo al Carnagie Hall e contemporaneamente il Lincoln Center chiedeva di riaverci ospiti ancora prima dei canonici sei mesi di distanza». Scaglione aggiunge ridendo: «Siamo stati oggetto di litigio tra le due sale più importanti negli States, e questo ci ha riempito di orgoglio!». Gualco: «Siamo stati il primo quartetto italiano nella storia a suonare a Carnagie Hall». Gramaglia: «Nel 2000 le agenzie ci dissero che ‘Era un momento molto difficile’, oggi lavoriamo tanto e bene grazie al nostro general management diretto da Vittoria Fontana, che ci segue con serietà e con amore, come solo le donne sanno fare: è innamorata di questo lavoro. Per noi è stata una svolta».

Che legame avete sviluppato in questi anni con l’Accademia Stauffer?
Gramaglia: «Quando veniamo qua, vediamo che viene compreso il senso di ciò che facciamo».
Gualco: «Per noi è lavoro, ma prima di tutto è stata la possibilità di raccogliere l’eredità del Quartetto Italiano. Senza di noi questa tradizione si sarebbe persa». Scaglione: «Siamo gli Jannik Sinner del quartetto italiano: grazie a lui, il livello dei tennisti negli ultimi anni si sta alzando moltissimo. Così anche nel mondo del quartetto italiano. Mancava un grande quartetto italiano, e noi lo siamo stati».

Quali sono state secondo voi le cause di questa carenza di quartetti italiani in questi anni?
Scaglione: «Cultura. In Italia c’è l’opera, in Germania c’è una traduzione cameristica molto più forte. Verdi e Puccini non sono di serie B, ma rappresentano un altro modo di far musica, tanto è vero che i grandi quartetti sono sempre stati austriaci, tedeschi, inglesi, americani e anche nell’Est Europa».
Gramaglia: «Verdi definiva il quartetto d’archi ‘una pianta fuori di clima’. In realtà, in Italia c’è stata una sottocultura del quartetto molto vasta, già nell’Ottocento. Semplicemente non c’è mai stata in Italia un sostegno di questo genere musicale». Gualco: «Ora le cose stanno cambiando, però: dopo il covid, spostare un’orchestra è diventato molto più oneroso».

Il maestro Andreoli però non ha ancora parlato: allora chiedo a lei, essendo il più giovane membro del Quartetto sia per ingresso, sia anagraficamente, come definirebbe il vostro modo di suonare e di insegnare?
Andreoli: «Abbiamo caratteri molto diversi. Nel tempo, lavorando insieme, abbiamo scoperto di avere la stessa idea di ‘come far musica’, anche grazie alla guida di Hatto Beyerle. Quattro voci ben distinte, ognuna con un carattere ben definito, ma con un suono unico, italiano, ‘cucito come un abito di Armani’, disse un critico». Scaglione: «Beyerle diceva che eravamo tutti diversi, ma in qualche modo funzionavamo benissimo. Farulli invece si limitò a dirci che avremmo fatto fortuna!». Andreoli: «Sull’insegnamento, la Stauffer permette di mostrare ai ragazzi prospettive diverse ma che si completano l’una con l’altra». Scaglione: «Non ci sono accademie al mondo che fanno ciò che fa la Stauffer: quattro insegnanti che ogni mese fanno lezione allo stesso quartetto». Gramaglia: «Siamo stati segnati da pochi maestri e allo stesso modo: da Piero Farulli per quanto riguardo l’idea di ‘servizio’ della musica, come di qualcosa da restituire, e del suo messaggio; da Hatto Beyerle abbiamo imparato l’approccio analitico tedesco. Abbiamo fatto le nostre scelte e questo ci porta a dire la stessa cosa ai ragazzi: dovete scegliere voi tra le diverse suggestioni che diamo».

E un bilancio di questi anni?
Scaglione: «Ci siamo fatti bene a vicenda. Venticinque anni fa io e Gualco eravamo il giorno e la notte: lui ha cambiato in meglio me e forse anche io ho cambiato in meglio lui». Gualco conferma e sorride: «Il quartetto non è un annullamento vicendevole. Ognuno di noi ha mantenuto le proprie caratteristiche personali. Spingiamo i nostri allievi a fare lo stesso. Autonomia e individualità, queste sono le nostre cifre».

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