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IL COMMENTO AL VANGELO

Non si crei deserto dove c’è speranza

Gesù desidera la libertà che sa amare, rispettare e benedire, quella feconda e profetica, quella vera

Don Paolo Arienti

07 Luglio 2024 - 05:00

Non si crei deserto dove c’è speranza

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Mc 6,1-6

Sarebbe facile biasimare i protagonisti del Vangelo di oggi e schierarsi dalla parte di Marco che contesta l’incredulità ed il disprezzo dei concittadini di Gesù. Facile perché noi veniamo secoli dopo e conosciamo l’epilogo della vicenda, possediamo qualche nozione catechistica e, forse, abbiamo visto o sentito qualche conseguenza della missione di Gesù: una cattedrale, un’opera d’arte, una poesia, la nostra stessa fede o il fatto di non credere più come un tempo…

E se provassimo a trasportare tout court quel brano nella dinamica contemporanea? Se lo sentissimo rivolto a noi, anche a chi tra di noi è molto vicino al Vangelo, esercita una vita spirituale, insomma è del giro di Cristo? Faremmo forse l’esperienza di venire provocati a cogliere che i primi ad essere scandalizzati, i primi ad avanzare critiche magari sottovoce, dietro le spalle… sono proprio i cristiani. Perché non è scontato essere suoi, di Cristo, in virtù del battesimo, della partecipazione al rito domenicale, magari dell’impegno nelle comunità, e condividere la forma della sua radicalità. Che il Vangelo si presti ad una lettura radicale è presto dimostrabile: tante, ‘troppe’ espressioni neotestamentarie vanno in questa direzione ed insistono sulla profondità e la complessità dell’amore di Dio.

Chi ama secondo Dio, ovvero chi crede, non può essere il ripetitore di una dottrina, nemmeno se possiede titoli accademici nel campo teologico; non può essere nemmeno solo uno che cerca nella religione, in questo caso il Cristianesimo, una ragione identitaria o una risposta a certe ansie di collocazione culturale. Chi ama secondo Dio, ovvero chi crede, deve abitare la contraddizione scandalosa del Vangelo: è chiamato ad assumere la forma stessa della vita concreta di Gesù, nel quale la debolezza dell’amore che sempre salva e mai distrugge è il vero potere; e nel quale l’empatia per l’altro coinvolge sino a compromettere il cuore stesso di Dio.

«Non è costui il figlio del falegname?»: non è Gesù un fallito, uno fuori dalla storia, uno che ha scavato forse troppo nelle pieghe dell’umanità, mentre ai suoi simili interessano altre dinamiche ed altre sopravvivenze? E all’opposto: la concretezza della sua storia umana non è difettosa rispetto al concetto di Dio? Non è troppo inadeguata, troppo umana perché sia trasparenza dell’Altissimo? Meglio frapporre un po’ di candele, qualche incenso, magari condire con qualche formula rituale in lingue ormai desuete… insomma meglio tutelare il mistero religioso piuttosto che confrontarsi con la carne del Figlio, colui che è nato da donna, come tutti noi.

L’antichissimo e suggestivo testo del Te Deum che addirittura Mussolini ordinò fosse cantato nelle chiese italiane dopo il fallimento dell’attentato contro la sua persona (e si badi bene che alcuni, come Mazzolari a Bozzolo, si opposero con fiero silenzio), recita così: non horruisti virginis uterum. Non ti ha fatto schifo il grembo di una ragazza. La fede cristiana sta tutta qui. Ragion per cui San Giovanni Crisostomo poteva dire: nel titolo ‘Maria madre di Dio’ sta tutta l’economia della fede.

Fuori si collocano tutti i tentativi maldestri di semplificare, conciliare, ridurre, addomesticare, mentre lo scandalo evangelico si ribella ad ogni agguantamento e ad ogni prigionia: perché Gesù desidera la libertà che sa amare, rispettare e benedire, quella feconda e profetica, quella vera. In giro esistono altre forme di libertà magari rivendicate (forse anche a ragione), urlate, strappate… e la storia ne è piena. Ma lui esprime quell’altra libertà e chiede ai suoi discepoli, in primis a quelli che la domenica partecipano alla frazione del pane, di non scappare, di non ridurre, di non addomesticare.

Gesù potrebbe meravigliarsi anche dell’incredulità del suo popolo (forse oggi troppo impegnato a contarsi o a metabolizzare la sindrome dell’amante abbandonata); potrebbe stupirsi della durezza di certe reazioni o di certe regole che soffocano la speranza e creano deserto laddove qualcuno, imperfetto e incapace, stava seminando qualcosa. E potrebbe girare al largo, cercando altri luoghi da evangelizzare e da raggiungere con la parola di libertà.
Potrebbe succedere. Davvero.

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