L'ANALISI
29 Maggio 2024 - 11:26
CREMONA - «Omaggio a Cremona torna alle origini», così apre la serata Alessandro Tantardini, presidente della Fondazione Stauffer. In effetti, è proprio un ritorno alle origini quello avvenuto ieri sera al Museo del Violino. E se la sede si è spostata dal Ponchielli all’Auditorium Arvedi, è rimasta, come scolpita sulla pietra, è l’emozione. Quella stessa emozione delle origini. Quella che guidò, quasi quarant’anni fa, Andrea Mosconi e Salvatore Accardo nel dare il via a una delle più belle manifestazioni d’affetto e riconoscenza che un’istituzione come la Stauffer potesse restituire alla cittadinanza cremonese. Omaggio a Cremona è un titolo romantico, che torna finalmente ai nostri occhi e alle nostre orecchie, come un rinnovato amore. Ecco che tornano anche i maestri. Il primo è Franco Petracchi, con quel suo sorriso leggero e gentile. Il secondo è Bruno Giuranna, con la sua eleganza e serietà.
Prima di dare il via al concerto, Tantardini ricorda affettuosamente Rocco Filippini, mancato nel 2020 durante la pandemia, lasciando un vuoto incolmabile nella grande famiglia della Stauffer. Un po’ di commozione per il saluto a Petracchi, che dopo decenni di collaborazione con la Stauffer, si ritira serenamente dall’insegnamento. Un pensiero poi per Mosconi, ideatore dell’Accademia. Il ritorno dei concerti di Omaggio a Cremona non è solo un revival fine a sé stesso, ma anche e soprattutto l’occasione per ritornare alla vocazione originaria di questa rassegna, cioè permettere agli allievi di esibirsi davanti al pubblico cremonese (accolto, va ricordato, gratuitamente) e, in particolare, insieme ai propri maestri.
Il concerto comincia subito con Petracchi, che porta il suo immenso contrabbasso giù dai gradini dell’auditorium per arrivare alla pedana centrale. Con i suoi allievi - Giulia Cellacchi, Alexander Goldberg (violini) e Giada Moretti (violoncello) -, esegue la Sonata n.1 per archi di Gioachino Rossini, brano di sfavillante leggerezza, divertimento ed eleganza che ben rispecchia l’animo di Petracchi. Il tocco di Petracchi è sempre lo stesso: leggero e raffinato, di grande grazia e profondità interpretativa, testimone di una maestria nascosta (si fa per dire) sotto un sorriso di gioia e un po’ di emozione.
Segue Giuranna, che, con Annika Starc, Ulisse Mazzon (violini), Francesco Tamburini (violoncello) e Clara Dutto (pianoforte), esegue alla perfezione il Quintetto op.57 di Šostakovič, brano segnato da travolgente patetismo e inarrivabile genialità espressiva, nelle sue oscillazioni tra austera solennità e profondo lirismo. Il suono di Giuranna è ancora quello: sontuoso, delicato, sottile. Lo sguardo è serio e attento sui suoi allievi. Il concerto termina nel modo più felice ed emozionante immaginabile. Una standing ovation per i musicisti, ma si capisce che il lungo applauso è per Petracchi, che, molto teatralmente, lascia per primo il palco, con gran distacco dagli altri. Sorride, volge la schiena al pubblico e corre via salutando. Non prima, però di salutare con un abbraccio fraterno i colleghi Giuranna e Accardo, seduto in prima fila ad ascoltare gli amici di una vita.
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