L'ANALISI
30 Maggio 2024 - 08:41
CREMONA - C’è poco da dire: questo Vespro ha fatto centro. Da dove cominciare? Dalle parole del sovrintendente Andrea Cigni, che festeggia il riconoscimento del Monteverdi Festival come festival di assoluto pregio riconosciuto dalla legge italiana: «Stasera sentiremo la musica di Cremona, la musica dei cremonesi. Il mondo dell’arte ha un debito di gratitudine nei confronti di questa città. Questa serata è un regalo a voi per ringraziarvi di essere cremonesi». O forse è meglio cominciare dal grande ritorno alla chiesa di San Marcellino, estatica cornice barocca che dopo anni torna ad ospitare il Festival, illuminata di tutto punto e, finalmente, con seggiole numerate (e pure comode!).
O dal pubblico di cremonesi e tanti, tanti forestieri, anche stranieri, che ha occupato da settimane tutti, ma proprio tutti, i posti disponibili. O dal Festival stesso, che ha voluto inaugurare il Festival più di due settimane prima dell’apertura ufficiale con Orfeo con un regalo alla città come il Vespro, che, come vuole la tradizione, è ogni anno presente nel cartellone del Festival. O si deve partire dall’emozione di una serata così importante che segna l’inizio di un nuovo corso per questo Festival. No, cominceremo invece dalla assoluta perfezione esecutiva di questo Vespro. Nel Vespro si scorgono tutte le modalità compositive predilette dal divin Claudio, le stesse che poi replicherà – e che aveva già in parte sperimentato – nella produzione madrigalistica e nel teatro musicale.
Il Vespro è, per riassumere, la summa concettuale della ‘seconda prattica’, ossia la grande rivoluzione tecnica di cui Monteverdi si fece teorico (con l’aiuto del fratello Giulio Cesare) e interprete. Quella ‘seconda prattica’ che tutto influenzerà e cambierà irrimediabilmente in tutta la musica occidentale successiva. Per questo lo slogan un po’ ruffiano ma tutto sommato veritiero di questo Festival è «Dove tutto è nato e tutto rinasce». E noi rinasciamo da questo Vespro. Una composizione che è già perfetta così com’è, l’ha spiegato Ottavio Dantone, ma che risulta semplicemente celestiale – e non c’è altro modo per definirla – se suonata come è stata suonata ieri sera. Impeccabili, brillanti e sublimi la direzione e la concertazione di Dantone, che si conferma interprete di rara intelligenza per il repertorio antico.
Assoluto è il piacere di ascoltare il suono monteverdiano in quella che certamente si avvicina a una plausibile replica in tempo moderno. L’Accademia Bizantina, questo repertorio, lo affronta regolarmente, e regala anche in questa occasione, una prova di eccezionale valore, con una purezza di suono accecante e un grande rispetto della raffinatezza melodica del Vespro. L’Accademia suona, tra l’altro, con gli strumenti antichi, con le nostre amatissime tiorbone e tutto il resto, non per vezzo antiquario, ma per filologica ricerca della verità.
Come omogeneo è il suono del Coro Ghisleri preparato da Luca Colombo e avvalorato dalla presenza di solisti di meraviglioso fraseggio e splendida intonazione, tutti tra l’altro ben noti al pubblico cremonese, in quanto presenza fisse al Festival: Nicolò Balducci, Marta Radaelli, Isabella Di Pietro, Danilo Pastore, Massimo Altieri, Luca Cervoni, Mauro Borgioni (che negli anni scorsi è stato eccezionale Orfeo nonché Testo nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, e non si ricordano a Cremona prove migliori della sua nei due ruoli) e infine Matteo Bellotto. Questo Vespro ci fa toccare il cielo con un dito. E, diciamocelo una volta per tutte, non perché Monteverdi sia moderno, ma perché Monteverdi è semplicemente eterno. E se queste sono le premesse del Festival di quest’anno, ci aspettano delle belle sorprese.
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