L'ANALISI
26 Maggio 2024 - 05:15
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
(Mt 28,16-20)
Per tantissimi è già difficile credere in Dio, soprattutto nella cultura contemporanea e con alle spalle secoli di incomprensioni sulla fede e la sua effettiva fecondità per il progresso dello spirito umano. Le cose sono destinate a complicarsi ancora di più, se ci si imbatte nella proposta cristiana che caratterizza Dio addirittura come Trinità. Per il cristianesimo si tratta del nucleo centrale di una teologia che avvicina il mistero di Dio non solo nella forma del monoteismo (un’unica realtà chiusa, magari “maschile”), ma nemmeno solo in quella del politeismo (tanti dei, magari responsabili di “pezzi” diversi della storia e della vita). Questa intuizione originaria, scaturita dai Vangeli da come è raccontato il legame del tutto singolare di Gesù con il Padre, ha generato secoli di riflessione e di limatura anche del linguaggio: come poter esprimere l’Unità di tre in uno? Ma soprattutto perché non accontentarsi di una visione semplice, serena del “principio di tutto”?
Infondo, alle spalle esisteva un precedente importante: il cammino faticoso e deciso dell’ebraismo verso una fede che riteneva Yavé l’unico Dio, non solo del popolo di Israele, ma di tutti i popoli, di tutto il mondo. Questa era stata la grande conquista teologica del popolo eletto: il “nostro” Dio è anche lo stesso degli altri e prima o poi condurrà tutti alla sua “montagna”. Dopo qualche secolo, toccherà all’Islam ridiscutere il cuore del Cristianesimo rivendicando il valore di una fede semplice e chiara, lontana dalle complicazioni della teologia cristiana, in nome dell’unicità di Allah e della sua assoluta sovranità.
Perché allora il cristianesimo si è avventurato in questa strada, sobbarcandosi la fatica di eresie, contestazioni, uso di un linguaggio sempre approssimativo e così difficile da trasmettere?
La risposta va cercata nelle origini di questo percorso, nel cuore stesso dei Vangeli: lì si narra di un rapporto del tutto singolare tra Gesù, il Padre e lo Spirito. Lì ci si permette di descrivere Dio come amore, e sempre lì si gettano le basi per quella comunione che diventerà la categoria-base, il perno centrale della fede in Gesù.
Sin dalle origini i primi cristiani hanno intuito come irrinunciabile questo carattere essenziale del Dio di Gesù: essere una realtà amante (anzi la realtà suprema che ama!), non potersi presentare e lasciarsi conoscere in altro modo. Le parole che nella storia sono state forgiate, “stressate” e adattate nel tentativo di raccontare un po’ questo mistero e che sono diventate anche opere d’arte, architetture e pagine di contemplazione, rispondono a questo criterio.
La celebrazione odierna raccoglie le comunità cristiane attorno a questo nucleo centrale che i credenti evocano ogni volta che si tracciano il segno della croce o ogni volta che leggono una pagina di Vangelo: Padre, Figlio e Spirito sono sempre coinvolti nell’unica storia della salvezza e, come diceva Tertulliano tra II e III secolo, i cristiani sono “debitori dei tre”, poiché riconoscono nella gratitudine che questi tre attori si sono mossi sul palcoscenico della storia nel dramma della salvezza. Questa è la sostanza della festa della Trinità: si focalizza il rendimento di grazie sul mistero di amore che è Dio stesso, nel suo essere non solo e non tanto un principio di ragione o un sovrano dispotico irraggiungibile, ma colui che ama perché dentro di sé è esperienza eterna di amore. Lo descrive poeticamente Dante quando introduce i lettori della Commedia al cuore del Paradiso, dove i santi contemplano i tre cerchi infuocati che come onde di un fiume di luce si combinano e si gettano l’uno nell’altro.
Al di là delle parole usate e dell’immaginazione che possiamo impiegare per rendere ragione di questa fede, per i Cristiani le conseguenze sono impressionanti: per loro c’è il vincolo della fiducia e della speranza. Per loro c’è il vincolo della riconciliazione e del lavoro serio e forte, perché la storia non sia schiava del male. Per loro c’è il vincolo di una visione delle cose che non sia mai figlia del buio o della sterilità. Se credono che questa caratteristica del loro Dio, il suo essere addirittura trinitario, comunione di amore, non sia una costruzione intellettuale marginale e secondaria, solo accademia per teologi e filosofi, ma il cuore pulsante di tutto, la radice che regge ogni essere e ogni agire.
Da meditare, pensare e celebrare ce n’è.
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