L'ANALISI
12 Maggio 2024 - 05:05
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Mc 16,15-20
Ci immaginiamo che cosa sarebbe successo se la storia fosse andata diversamente? Se quel corpo, quello di Gesù, fosse stato ritrovato, conservato, mummificato e avesse subito una divinizzazione post mortem con tanto di super tempio e costruzioni gigantesche? Forse le grandi basiliche cristiane, da S. Pietro a Roma a St. Paul a Londra, sarebbero apparse minuscole o forse nemmeno sarebbero state costruite. Perché si sarebbe diffuso il pellegrinaggio come unico, autentico atto di culto: la venerazione del corpo, la sua localizzazione certa e, ovviamente, la moltiplicazione spasmodica dell’indotto (dalle reliquie per contatto all’oggettistica turistica). I Vangeli narrano invece un’altra vicenda. Sostengono che quel corpo, quello del crocifisso, c’è ancora, vivo, risorto, ma non abita più un luogo specifico, non è rintracciabile in una località né interpellabile in un tempo specifico. Non è un oracolo né si confonde con la dinamica della risposta su commissione, come se da un ufficio burocratico uscissero pronunciamenti e responsi ai quesiti dell’umanità inquieta. Quel corpo è sparito, si dice “asceso”: è ora presso Dio, in una dimensione o in una condizione affatto diversa dalla nostra, eppure in una continuità vitale che qualcuno osa definire “comunione”.
L’odierna festa dell’Ascensione narra questo ennesimo paradosso che sfocia nella dichiarazione di una garanzia: la garanzia che la scomparsa di Gesù non coincide con la solitudine e che non si debba, ancora una volta, inaugurare un altro periodo in cui regni l’arte dell’arrangiarsi. Il Vangelo resta a tracciare una rotta, certo non precisissima, ma chiara, impegnativa e potente. E questa rotta, questa forza prende un volto, un nome: Spirito Santo. Il Nuovo Testamento è spesso evasivo nel descriverne la consistenza: o meglio esalta la sua sovrana libertà, la libertà stessa di Dio che nessuna religione può esaurire, impiegando metafore di forza, potenza e autonomia. Così lo Spirito è come il vento, come l’acqua, come il fuoco, ma è paragonabile anche ad una colomba che, lungi dall’essere un rapace, scende con dolcezza sull’umanità di Gesù. Ed è questa compagnia, che non violenta, ma nemmeno è puro soprammobile, ad essere la garanzia della comunione. Lo sa chi è almeno un poco spirituale, cioè chi crede ad un legame più forte della sola libertà intesa come autonomia; chi crede che dentro le “cose della fisica”, le cause e gli effetti, esista un mondo di senso che tiene insieme e che ultimamente possiamo chiamare amore.
I Vangeli, orientandosi a sintetizzare la natura stesa di Dio nell’amore, indicano qualcosa di serio che riscatta anche il religioso dalle derive magiche e illusorie: l’amore è vicinanza che non soffoca, è pensiero di premura che genera alla libertà, è anche debolezza davanti all’abuso prepotente di sé e degli altri. E questo è Dio per la fede cristiana, come l’ha descritto Gesù con la sua stesa vita e il suo destino pasquale. L’Ascensione è come una chiave, un codice che rende possibile tutto questo, ce lo consegna come celebrazione e come promessa.
In una giornata che ricorda alle comunità cristiane il valore prezioso delle comunicazioni sociali (giornali come questo… televisioni… social media… con il loro carico di potenziale educativo, democratico e liberante, e la grande tentazione del potere e della manipolazione), quanto vale l’amore? Quanto ci impegna la coscienza che non siamo soli, abbandonati, atomi solo indipendenti? Quanto smuove dentro di noi la richiesta che la vita stessa ci fa, di essere 'gente di spirito' e non solo automi?
Anche l’Ascensione, con il suo codice spaziale, con la sua venatura di nostalgia che la Pentecoste colmerà, ci ricorda che, perché si generi libertà vera, serve che i padri, le madri, i maestri e Dio stesso per certi versi si ritirino e lascino il campo a chi, giovane e contemporaneo a questa storia, la può assumere e plasmare. Ed è una questione di Spirito.
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