L'ANALISI
15 Aprile 2024 - 10:12
CREMONA - «‘Oddio Maria, la bimba è sempre viva’. Ho aperto le braccia della mia mamma... veniva su latte e sangue, quella bambina aveva la bocca tutta piena di sangue»: Anna Pardini aveva solo venti giorni e la mamma la teneva in braccio quando i tedeschi le hanno sparato, il 12 agosto del 1944. Non è morta subito, Anna. È durata più di un mese l’agonia della più giovane tra le vittime dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, morta poi il 19 settembre. Ad Anna Pardini è dedicata la piazza che porta alla chiesa, con la sua acquasantiera sbrecciata dal mitra, vicino al sentiero che va al memoriale e al museo che racconta la strage e raccoglie il poco che è rimasto di una comunità spezzata: qualche anello nuziale, un orologio fermo, un bambolotto macchiato di sangue.
Se la morte insensata di Anna - e delle altre 6960 vittime di crimini di guerra durante il secondo conflitto mondiale - ha avuto una ricostruzione storico-giuridica, se ci sono stati processi e, almeno in primo grado, condanne lo si deve a Marco De Paolis, procuratore generale militare presso la Corte militare d’Appello di Roma. De Paolis, considerato a livello internazionale tra i giuristi più esperti di crimini nazifascisti di guerra, sarà a Cremona sabato prossimo (ore 17) nel salone dei Quadri del Comune. Invitato dall’Associazione nazionale Divisione Acqui guidata da Tiziano Zanisi, De Paolis presenterà il libro Caccia ai nazisti (Rizzoli).
Con lui interverranno Dino Messina, giornalista e saggista, e Gian Carlo Corada, presidente Anpi. L’incontro è organizzato con patrocinio e collaborazione di Comune, Anpi, Anpc, Rete scuole e Associazione 25 Aprile. Il libro di De Paolis «ha il merito di ricostruire tutto questo con rigore e passione civile - sottolinea Liliana Segre nella prefazione -: verità storica, elenco delle stragi e dei fatti di sangue, resistenze di ogni tipo all’accertamento della verità, responsabilità penali di militari e civili. Il valore di un tale lavoro è proprio nel nesso fra attività giudiziaria, accertamento dei fatti e restituzione di giustizia e dignità alle vittime che riesce a istituire. E questo è effettivamente il modo migliore per contribuire a rendere la nostra opinione pubblica finalmente consapevole e partecipe di una delle pagine più oscure della nostra vita nazionale».
De Paolis ha fatto, come giudice e senza mai sconfinare dal suo ruolo, quello che pochi in Italia hanno fatto: ha guardato dentro le pagine più oscure di un passato scomodo, sostanzialmente rimosso dalla memoria del Paese, oltre che dalla coscienza civile collettiva. Ha indagato sui crimini nazisti e sulle complicità di civili e militari fascisti. Ha dato un nome e un volto agli autori di rappresaglie e di fucilazioni di massa, a chi ha bruciato boschi, chiese e casolari e a quanti si sono accaniti soprattutto su donne, vecchi e bambini. Sessant’anni dopo i fatti - le prime inchieste della procura militare de La Spezia, dove all’epoca lavora De Paolis, sono dei primi anni Duemila -, con imputati e testimoni ormai morti o molto anziani. Un processo alla Storia, quindi? No, perché certi crimini non cadono in prescrizione e sono perciò sempre perseguibili.
Inoltre, riflette De Paolis «mi era ormai chiaro di avere un obbligo morale, un doppio imperativo etico: saldare un debito con migliaia di familiari delle vittime innocenti per la mancata giustizia loro dovuta. E poi saldare il conto con i responsabili, con gli assassini, dando un nome ai colpevoli». Nel 1960, il procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare, Enrico Santacroce, senza che vi fossero i presupposti di legge, archivia 695 fascicoli relativi a stragi di civili e militari italiani commessi da tedeschi e fascisti italiani dopo l’8 settembre ’43. Vengono archiviati anche i fascicoli relativi agli eccidi di civili compiuti dai militari italiani nei Paesi occupati prima dell’Armistizio. Quegli stessi fascicoli vengono ritrovati a Roma nel luglio del 1994 a margine del processo a Erich Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
E parte di quei faldoni arrivano sulla scrivania di De Paolis, che non archivia ma scava. Nella Storia e nelle storie, nel dolore dei sopravvissuti e, spesso, nell’arroganza dei carnefici che giustificano la loro partecipazione ai massacri con la scusa degli ordini da eseguire. È l’inizio di una via crucis di cui è costellata soprattutto la dorsale appenninica: i luoghi tristemente noti come Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto - Montesole, altri rimossi dal ricordo collettivo come San Cesario sul Panaro, Certosa di Farneta o Falzano di Cortona, Fragheto e Verghereto, San Terenzo - Vinca. Paesi per lo più di poche case, circondati da boschi di lecci, querce e castagni, difficili da trovare e raggiungere senza guide e indicazioni - e ci sono stati sempre i fascisti delatori. Il 17 aprile 2002, in visita a Marzabotto, l’allora presidente tedesco Johannes Rau ha detto: «La colpa personale ricade solamente su chi ha commesso quei crimini. Le conseguenze di una tale colpa, invece, devono affrontarle anche le generazioni successive».
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