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LA RIVOLTA DELLE FILANDERE

Sebben che siamo donne: 1877, in sciopero per il pane

Superti oggi (ore 16) all’Archivio di Stato interviene su un episodio quasi dimenticato della storia cremonese

Barbara Caffi

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bcaffi@laprovinciacr.it

07 Marzo 2024 - 10:51

Sebben che siamo donne: 1877, in sciopero per il pane

Un particolare de Il Quarto Stato (Giuseppe Pellizza da Volpedo) e la filanda Bertarelli

CREMONA - La rivolta parte dalla filanda Bertarelli, quella del minareto, e poi via via si estende alle altre fabbriche. Non ne possono più, le donne cremonesi di spaccarsi la schiena per un pezzo di pane. Non ne possono più proprio del prezzo del pane che sale, sale, sale e sembra non fermarsi mai. E per la prima volta a centinaia lasciano il lavoro e saccheggiano la città. Rompono le vetrine, rubano, arraffano quello che possono. Alle operaie, già dal primo pomeriggio, si aggiungono le popolane. Arrivano dai bassi, dai quartieri più poveri e insalubri.

E anche loro saccheggiano, rubano, arraffano. Corso Campi e corso Garibaldi - le strade su cui si affacciano i bei negozi - sono le vie più colpite. Non è escluso che la maggior parte delle rivoltose quelle strade non le abbiano mai fatte, di sicuro nelle botteghe più eleganti non sono mai entrate. Mentre la Cremona borghese si rinchiude impaurita e indignata in case e palazzi, le forze dell’ordine stanno a guardare. Perché saranno pure delle furie quelle che stanno mettendo sotto assedio il centro cittadino, ma sono pur sempre donne - alcune giovanissime - e su di loro nessuno ha il coraggio di sparare. È l’11 luglio del 1877, una data storica - di fatto dimenticata - per Cremona.

Fabrizio Superti


Di questo episodio parlerà questo pomeriggio (ore 16) lo storico Fabrizio Superti. L’appuntamento - la concomitanza con l’8 marzo, festa della donna, non è casuale - è all’Archivio di Stato (via Antica Porta Tintoria) guidato da Valeria Leoni. «È un episodio che ricorda l’assalto ai forni raccontato da Manzoni nei Promessi sposi - spiega Superti, che ha studiato lo sciopero del pane analizzando gli atti dei processi dal 1812 alla grande guerra - ed è solo la punta dell’iceberg di un malcontento popolare molto profondo. Sono anni in cui la meccanizzazione industriale comincia a interessare il settore agricolo, determinando l’allontanamento di forza lavoro. È anche il periodo in cui comincia l’emigrazione perché il lavoro scarseggia.

Il pretesto dello sciopero è il rialzo continuo del prezzo del pane, proprio mentre il prezzo dei cereali si stava abbassando. Nei confronti dei prestinai c’era un odio profondo, li si riteneva responsabili della speculazione. L’11 luglio il pane costava 46 centesimi al chilo, il giorno precedente 48. Le filandere cremonesi chiedevano che si scendesse a 40 centesimi». Sulle tavole più povere, oltre al pane arrivava poco altro e l’impennata dei prezzi significava pane e miseria nera.

Valeria Leoni

«Le filandere cremonesi erano quasi la metà della manodopera industriale dell’epoca - ricorda Superti -. Guadagnavano due lire al giorno per quattordici ore di lavoro». Si comincia a 10 - 11 anni e si va avanti fino al matrimonio o alle gravidanze. Le operaie entrano in filanda quando è ancora buio e in inverno, quando escono, di luce ce n’è ormai poca. Il lavoro è pesante, le addette alla scopinatura hanno per tutto il giorno le mani dentro e fuori dall’acqua bollente che provoca ustioni, vesciche e artrite. L’aria è resa malsana dal fuoco che mantiene calda l’acqua e dalle esalazioni del vapore, l’odore è nauseante. Lo sciopero dell’11 luglio non lo organizza nessuno, nasce spontaneo e si alimenta da solo. È una ribellione violenta, lontana dal consueto e stereotipato agire femminile. A Cremona non ci sarà un generale Bava Beccaris a far sparare sulla rivolta, come accadrà a Milano nel 1898. Il prefetto qui dà ordine di non intervenire, non si spara sulle donne.


In dodici finiscono a processo, lo sciopero stesso all’epoca è un reato. Tra le imputate ci sono anche due ragazzine, una ha 15 anni l’altra addirittura 13. Dalla corte d’appello di Brescia, il procedimento, derubricato, torna a Cremona e si conclude con il non luogo a procedere. Prevale il buon senso o forse si temono altre rivolte. «Ci si è resi conto che punire solo le dodici imputate sulle sette-ottocento donne che avevano partecipato allo sciopero sarebbe stato eccessivo», conclude Superti, che oggi inquadrerà lo sciopero dell’11 luglio 1877 in un più ampio contesto sociale ed economico.

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