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AL PONCHIELLI

Sfide fra regine in versione pop

La regia di Livermore rilegge il testo di Schiller come se fosse un'opera pop. Marinoni e Pozzi regalano due grandi prove da attrici

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

21 Dicembre 2023 - 15:36

Sfide fra regine in versione pop

Linda Gennari nel ruolo dell’Angelo

CREMONA - Una piuma d’angelo decide chi sarà regina: è il destino che muove tutte le esistenze, anche quelle delle sovrane e il tempo è lo strumento della sua inesorabile realizzazione. E così, sera dopo sera, replica dopo replica, l’angelo in cima alla balconata fa cadere una piuma bianca che stabilisce chi sarà Elisabetta I e chi Maria Stuarda fra Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi, entrambe regine del palcoscenico per il drammone di Friedrich Schiller, diretto da Davide Livermore, martedì e ieri sera al Ponchielli.

La scena di Lorenzo Russo Rainaldi, caratterizzata da un praticabile con due scale parallele, evoca il camminamento del castello in cui è prigioniera da vent’anni Maria Stuarda. Maria è fuggita dalla Scozia e dai calvinisti, si è rifugiata in Inghilterra e ha chiesto protezione alla cugina Elisabetta che l’ha invece imprigionata, temendo che le si volesse sottrarre il regno per riconsegnarlo alla cattolicità. Questi i fatti storici che Schiller rilegge in un testo in cui le due regine si scontrano: l’una sovrana per volontà divina, l’altra che cerca la propria legittimazione dal Parlamento e dal popolo. Inoltre, entrambe sono innamorate del conte di Leicester. Maria è donna bellissima e ambita, Elisabetta è apparentemente algida e sposata all’Inghilterra. Tutto ciò nello spettacolo di Livermore assume un andamento pop/rock, si trasforma in una sorta di melodramma molto glamour, complici i costumi di Dolce & Gabbana (per le regine) e di Anna Missaglia, e le luci coloratissime di Aldo Mantovani.

stuarda

A dominare in un’alternanza speculare, fino all’incontro/scontro sono: Maria Stuarda, interpretata martedì sera da Laura Marinoni, ed Elisabetta i cui panni sono stati indossati da Pozzi. In uno spazio vuoto, con unici elementi un letto per Maria Stuarda e un trono per Elisabetta si gioca la partita politica e amorosa fra le due sovrane. Non è un caso che tutti gli altri personaggi - dal fascinoso conte di Leicester (Sax Nicosia) a Mortimer, innamorato di Maria e che trama per liberarla (Linda Gennari), al barone di Burleigh, mano armata del popolo e del Parlamento (Giancarlo Judica Cordiglia) — si muovono come pedine su una scacchiera. I loro movimenti sono condivisi da Gaia Aprea e Olivia Manescalchi anche loro impegnate in più ruoli, tasselli, pedine di un racconto che si costruisce intorno alle due regine con ritmo cromatico e sonoro sempre un poco sopra le righe, ma coerente in tutto e per tutto.

Pozzi e Marinoni regalano due prove regali di interpreti e non solo perché possono interscambiarsi, ma soprattutto perché nel mutar di ruolo di sera in sera danno allo spettacolo un ritmo ogni volta diverso, condiviso dalla presenza non accessoria, ma fondamentale di Giua, chitarra e voce che è coro, commento, partitura musicale di una sorta di melologo pop, molto anni Ottanta.

Elisabetta Pozzi costruisce una Elisabetta I che non perde mai in austerità, che sa essere spietata con sé stessa prima e, poi, con la cugina.

Laura Marinoni dà a Maria Stuarda una nobile sensualità, rivela una supremazia regale che, nella storia, rischia di schiacciare Elisabetta. Le due interpreti non tradiscono le aspettative, si adeguano alla gestione melica del regista che chiede loro gesti ampi, toni enfatici, ma anche questo ci sta per dare corpo a un testo che parla in grande, che si confronta con l’assoluto, con la sfida fra potere e morale, fra giustizia umana e diritto divino, fra desiderio e castità ricercata per necessità.

Ciò che ha fatto Davide Livermore – complici le due protagoniste e l’intero cast – è inventarsi una regia lirica per uno spettacolone da teatro di prosa old style, senza rinunciare a una contemporaneità che profuma dei coloratissimi anni Ottanta con tanto di capigliature cotonate e spalline alla Duran Duran.

Alla fine tutti in piedi a danzare Sweet Dreams degli Eurythmics – per rimanere in tema -, perché in fondo il teatro è pur sempre un luogo in cui si può sognare. 

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