L'ANALISI
I DIARI GIOVANILI DEL SEMINARISTA
05 Dicembre 2023 - 10:14
CREMONA - Dopo aver tenuto un diario per tutto il tempo del seminario ed oltre, strumento di una costante riflessione su se stesso e sul vissuto di un mondo solitamente inaccessibile, divenuto sacerdote, monsignor Franco Tantardini (Cremona 1917-2006) abbandona definitivamente questa pratica e distrugge i quaderni. Negli anni della vecchiaia, tuttavia, in una ultima revisione delle sue carte, ritrova, sopravvissuti, due quaderni del diario, relativi l’uno alle vacanze estive della prima liceale (1934), l’altro agli ultimi tempi del seminario, compresa l’ ordinazione sacerdotale (1938-40).
Forse per un sopraggiunto inconscio desiderio di una ideale sopravvivenza, più verosimilmente come autentico segno di profonda amicizia, stavolta, anziché distruggerli, ne fa dono ad una persona la cui vicinanza gli è cara, Ivana Brusati, già insegnante di lettere al liceo scientifico Aselli, che ne riconosce immediatamente il pregio. E pur nell’incertezza sul da farsi, sente l’impegno di valorizzare questa testimonianza che appare estremamente interessante «sia per il suo prezioso contenuto che per l’accattivante vivacità della forma». Dopo averli pazientemente trascritti, decide di affidarli all’Archivio diaristico nazionale Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, una sorta di casa della memoria che raccoglie scritti di gente comune in cui si riflette, in varie forme, la vita di tutti e la storia d’Italia: diari, epistolari, memorie autobiografiche di pubblica consultazione.
Trascrizione, e pazienza, necessarie soprattutto per la decifrazione del secondo quaderno, non solo per la qualità della carta, che ha reso sbavata la scrittura, e l’opera usurante del tempo che ha scolorito l’inchiostro… verde (tanto caro al Tantardini seminarista, e ancora più avanti), ma anche perché con la maturità la grafia del giovane è divenuta estrosa, come sanno tutti quelli che hanno avuto modo di sperimentarla, racconta Brusati. «Esplicitamente pensoso, come nella fotografia da solo della prima comunione…. o lieto come nella prima fotografia, ma di una ilarità che, se mi fosse stato fatto un brutto scherzo, sarei divenuto serio, pensoso... C’è quindi innata coscienza una consapevolezza ma anche una gravità abituali proprie di altre età che si vede mancare… anche a fotografie di adulti stessi». È questo l’incipit del diario del sedicenne Tantardini scritto durante le vacanze estive dell’anno 1934, mentre era seminarista.
Figura nota in città anche per la sua costante presenza in cattedrale quale silenzioso e impeccabile regista nelle solenni liturgie episcopali, o solerte e meticoloso nel quotidiano ruolo di prefetto custode di sacrestia, è rimasto nel cuore dei cremonesi per il suo rigore di uomo di Chiesa e negli occhi per l’austera severità della figura. «Il suo sguardo era talora severo e imperioso, molto più spesso semplice e penetrante», così disse il Vicario Generale, monsignor Mario Marchesi, nell’omelia funebre. In realtà, nonostante la naturale riservatezza, ed una lieve scorza che ne scoraggiava l’approccio, «Tantardini sapeva essere semplice ed affabile con tutti e la sua presenza riusciva gradita in diversi contesti grazie alla sua conversazione brillante, percorsa da ironia ed arguzia, nella quale affiorava la sua ricca e versatile cultura. Questo è quanto emerso anche nei numerosi ricordi che ne hanno accompagnato la morte con sentimenti di viva ammirazione e di sincera simpatia, aggiunge Brusati.
Già in questo primo quaderno al di là di una giovanile presunzione, Tantardini appare come un giovane pienamente consapevole della propria personalità, che pare già affermata per intero. Ma anche «uno scrittore che padroneggia perfettamente la lingua per l’accuratezza dei termini scelti e per la complessa articolazione del discorso. Il Manzoni campeggia ampiamente assieme a testi sacri e a classici latini citati con larghezza e rara padronanza sia che si tratti di Cicerone che dei Vangeli o della Bibbia, il linguaggio non è solo forma, ma è ‘raggionamento’ per dirla con Pirandello, ed efficace costrutto d’animo». Porta avanti una costante riflessione su se stesso, sui suoi sentimenti, sugli inevitabili conflitti adolescenziali.
«Si irrita se la mamma lo controlla troppo come ogni ragazzo che tiene alla propria autonomia di cui si crede senz’altro all’altezza. Si definisce un ‘cespuglio’ e per descrivere se stesso a 16 anni sceglie uno dei più commoventi passi del Manzoni, la monaca di Monza. Così scrive Tantardini nelle pagine del suo diario scritto nel 1934: «S’inoltrava in quell’età cosi critica, nella quale par che entri nell’animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna e rinvigorisce tutte le inclinazioni, tutte l’idee, e qualche volta le trasforma o le rivolge a un corso impreveduto». Poi commenta con impeto giovanile: Non è l’amore? .... quella cosa che nasce nel cuore a quindici anni – e io ne ho sedici».
L’amore per il Leopardi lo porta, nel secondo diario, a concepire un passo dedicato a un topos del poeta recanatese, la luna. Ecco cosa scrive: «Nove e mezzo di sera, sulla porta maggiore della cappella: notte quieta di piccola luna crescente e un bel cielo stellato quantunque un poco pallido..... mi sono messo con fretta irrequieta a interrogare i sentimenti suscitati nell’animo, che, con un po’ di pazienza, son venuti pigramente sgomitolandosi». Riflettere su se stesso diventa una pratica continua, un esame di coscienza che, con sincerità e quasi insolita spregiudicatezza intellettuale, lo porta a ragionare sugli impulsi vitali di quell’eros giovanile di cui anche lui non è esente. Non lo nega, non forza, in un modo innaturale, se stesso e la sua giovinezza. Scrive infatti di voler «spremere dalla preghiera e anche dall’austerità ecclesiastica (l’austerità mi piace) tutte le soddisfazioni lecite. Convintissimo come sono, che solo i sacerdoti santi (in senso qui piuttosto largo) sanno stare in mezzo: da una parte gli eunuchi, dall’altra i libertini, in mezzo i sacerdoti santi».
Nei suoi Diari, il giovane Tantardini è consapevole di vivere in un mondo difficile a cominciare dai rapporti fra il regime e la chiesa che diventano, anche alla luce delle persecuzioni ebraiche, sempre più distanti e conflittuali. Quando visita in ospedale un suo amico, fervente avanguardista, lo definisce «fiore del Regime» e poi prosegue «meglio essere un fiore dell’Azione Cattolica». Commenta Brusati: «Non si può certo dire, senza fargli violenza, che sia un antifascista soprattutto nel senso politico. Ma piuttosto un profetico prete che vede come la Chiesa millenaria oscurerà presto un Fascismo transeunte».
Il diario del giovane Tantardini, per la sua singolarità, è entrato nella lista d’onore del premio Pieve Santo Stefano su segnalazione di Stefano Leandro, membro della commissione con la motivazione «il diario rappresenta un unicum che mantiene sia nella forma che nei contenuti piena validità, soprattutto nei nostri tempi». Nelle fitte righe di quei quaderni, escono prepotentemente l’esempio prezioso di un uomo «proiettato oltre le angustie del secolo in cui vive» e «lo scorrere sapiente di una lingua efficace, indispensabile strumento non solamente per comunicare, il che non è poco, ma per immergersi in un processo di continua rigenerazione», commenta ancora Brusati. L’auspicio è che qualche studioso esplori questo ‘romanzo’ di vita non solo per la sua valenza storica, ma anche e soprattutto per l’ attualità dei contenuti e delle problematiche che solleva. Pur dentro i confini di un vissuto insolito e ai noi lontano.
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